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Microplastiche: cosa sono e quali danni provocano a salute e ambiente

Ovunque le cerchi, le trovi: stiamo parlando delle microplastiche, microscopici pezzettini di plastica che galleggiano nei mari e si accumulano nel suolo e nell'aria. Ma cosa sono esattamente? E qual è l'impatto di queste minuscole particelle sull'ambiente e sulla nostra salute?

Microplastiche: cosa sono e quali danni provocano a salute e ambiente

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Le microplastiche stanno invadendo il nostro pianeta, si accumulano nei mari, nel sottosuolo, e le troviamo persino nel nostro piatto. E’ un po’ inquietante, non trovi? Ma cosa sono esattamente queste “microplastiche”? E quante ne mangiamo in media ogni giorno? Quando parliamo di inquinamento, ci soffermiamo spesso su questioni ampiamente conosciute, come l’invasione della plastica, l’emissione di gas inquinanti, lo smog che aleggia nelle strade e dentro le nostre case, o la gravissima perdita di biodiversità e di habitat naturali che coinvolge gli ecosistemi di tutto il mondo.

Un argomento un po’ meno noto e discusso è, probabilmente, quello delle microplastiche. Eppure queste minuscole particelle, spesso frutto del processo di decomposizione e degradazione di rifiuti plastici in pezzetti via via sempre più piccoli, potrebbe mettere in serio pericolo la nostra salute. Ma in che modo?

In questo spazio dedicato all’ecologia e all’ambiente, vogliamo scoprire cosa sono le microplastiche, quali danni possono provocare all’ambiente e alla salute, e capiremo come e perché finiscono nel nostro piatto.

Cosa sono le microplastiche?

Per poter comprendere la portata del problema provocato dalle microplastiche, bisogna prima capire di che tipo di materiale stiamo parlando.

Come si può già evincere dal nome, con questo termine si indicano dei minuscoli pezzettini di plastica, frammenti che hanno dimensioni letteralmente microscopiche. La loro grandezza non supera i 5 millimetri, e spesso sono anche molto più piccole di un millimetro. I pezzetti più minuscoli non sono altro che dei residui di plastica praticamente invisibili a occhio nudo (la grandezza è solitamente ben inferiore a 1 micrometro), una categoria di inquinanti comunemente nota con il nome di “nanoplastiche“, frutto della progressiva scomposizione delle microplastiche.

Queste microparticelle si presentano come materiali dalla consistenza dura, dalla forma di granelli o fibre (specialmente le microplastiche provenienti dai tessuti sintetici). Ma attenzione: pur essendo piccolissime e apparentemente innocue, le microplastiche rappresentano una minaccia potenzialmente enorme non solo per l’ambiente, ma anche per gli animali e per noi esseri umani.

Di cosa sono fatte le microplastiche?

Questi minuscoli granelli sono spesso il frutto della decomposizione di materiali plastici, ma possono essere riversati nei mari e nell’ambiente anche in maniera “diretta”, attraverso le decine di prodotti che utilizziamo quotidianamente, come ad esempio gli scrub e le maschere per il viso, shampoo, dentifrici, detersivi per il bucato, indumenti realizzati con tessuti sintetici (spesso di scarsa qualità) e prodotti cosmetici.

Dal momento che sono composte da materiali non biodegradabili, le piccole particelle in questione rimangono nell’ambiente anche per centinaia o persino per migliaia di anni, e in breve tempo vanno a finire nel nostro organismo.

Insomma, in un mondo letteralmente inondato dalla plastica, non è difficile immaginare la portata e la gravità di questa forma di inquinamento.

Da dove vengono le microplastiche?

microplastiche nei tessuti
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Il termine “microplastiche” ha fatto capolino nel mondo scientifico esattamente 20 anni fa, nel 2004, grazie al biologo marino Richard Thompson, membro dell’Università di Plymouth in Inghilterra. Il ricercatore e il suo team di scienziati scoprirono che nell’ambiente vi sono dei microscopici detriti di plastica, definiti per la prima volta con il nome di “microplastiche”.

Da quel preciso momento, le ricerche e gli studi in merito all’origine, alla diffusione e all’impatto di tali particelle si sono moltiplicati, e quello che ne è emerso è un quadro ben poco piacevole.

Tornando alla provenienza di queste sostanze, solitamente si distinguono le microplastiche primarie da quelle secondarie. Vediamo quali sono le differenze.

Microplastiche primarie

Le microplastiche primarie sono quelle particelle prodotte volontariamente dall’uomo. Esse vengono spesso aggiunte ai prodotti per migliorarne la consistenza o l’efficacia, e possono essere presenti in prodotti di uso comune, come ad esempio:

  • Detersivi
  • Ammorbidenti
  • Fertilizzanti
  • Creme solari
  • Cosmetici
  • Prodotti per l’igiene personale e la cura del corpo
  • Vernici e pitture
  • Capi sintetici
  • Materiali da costruzione.

Questi sono solo alcuni esempi delle possibili fonti di microplastiche primarie, ma la lista potrebbe continuare davvero all’infinito. Persino i teli per la pacciamatura regolarmente impiegati nel settore agricolo possono rilasciare microplastiche nel terreno, specialmente quando questi non vengono rimossi e smaltiti come dovrebbero.

Si stima che le microplastiche di origine primaria contribuiscano all’accumulo del 15-30% delle particelle presenti negli oceani e nei mari.

Microplastiche secondarie

Le microplastiche secondarie sono quelle più diffuse a livello globale. Esse rappresentano, infatti, circa il 60-80% del totale di microplastiche nel mondo.

Questa tipologia di microplastica deriva dal processo di degradazione di oggetti di plastica che vengono spesso dispersi nell’ambiente, a cominciare dalle onnipresenti bottiglie e bottigliette, continuando con le buste di plastica, le reti da pesca e un altro numero infinito di oggetti. Questi piccolissimi frammenti possono provenire anche da pneumatici, parafango e da altri accessori e componenti delle macchine.

Ma cosa succederebbe se tutti questi piccolissimi pezzettini di plastica finissero nel nostro piatto? Purtroppo questo è ciò che accade tutti i giorni.

Dove si possono trovare le microplastiche?

microplastiche alimenti
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Sappiamo adesso da dove vengono le microplastiche: ma dove vanno a finire? Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Proceedings of the National Academy of Sciences“, dalle profondità dei mari fino alle vette delle montagne più alte, la microplastica – capace di circolare liberamente trasportata dalle correnti – è presente in tutti gli angoli della nostra Terra.

Le aree più colpite sono l’Europa, il Sudamerica, l’Asia, l’Australia e gli Stati Uniti, ma la presenza di questi minuscoli inquinanti è davvero ubiquitaria.

I piccolissimi frammenti di plastica si accumulano nei mari e negli oceani (in questi ecosistemi si contano ben 14 milioni di tonnellate di microplastiche), ma possiamo trovarli praticamente in tutti gli ecosistemi, sia quelli marini che quelli terrestri. Micro e nanoplastiche sono presenti anche nel vento, che trasportandole le fa approdare in zone del mondo che, almeno in teoria, dovrebbero essere incontaminate.

Chi pensa che le microplastiche si trovino solo in pesci e molluschi, dunque, dovrà purtroppo ricredersi. Concretamente parlando, infatti, sono state rinvenute tracce e particelle nell’organismo di centinaia di animali, nell’acqua potabile (inclusa quella del rubinetto), nel sale, nella birra, nel miele, nei crostacei e nei molluschi, nel pollame e in numerosissimi prodotti che fanno parte della nostra alimentazione quotidiana.

Ciò vuol dire che, presumibilmente, tutti i giorni ingeriamo la nostra buona dose di microplastiche.

Al momento non sappiamo quali potrebbero essere le reali conseguenze di tutto questo, sia a breve che a lungo termine. Quel che sappiamo, però, è che a nessuno piace l’idea di portare in tavola dei pezzettini di plastica, per quanto piccoli questi possano essere.

Quali sono le conseguenze sull’ambiente e sugli esseri viventi delle microplastiche?

Dal punto di vista ambientale, l’inquinamento da microplastiche comporta delle conseguenze praticamente per tutti gli organismi e per tutte le creature viventi.

Queste piccole particelle si accumulano soprattutto (ma non solo) nei mari e negli oceani, dove vengono spesso ingerite da piccoli animali, i quali le scambiano per plancton, il loro nutrimento essenziale.

A loro volta, in base allo schema della “catena alimentare”, questi piccoli animali verranno ingeriti da animali via via sempre più grandi, e una volta giunti alla cima della catena, finiranno con estrema facilità nel nostro piatto. Tra gli animali maggiormente contaminati da microplastiche, il triste primato spetta soprattutto a molluschi e crostacei.

Danni da microplastica: la plasticosi

Come dicevamo, però, non sono “solo” gli animali marini a correre dei rischi. Il pericolo riguarda anche altri tipi di animali. Per fare un esempio, nel 2023 è stata diagnosticata una nuova malattia a degli uccelli marini e in altri animali selvatici, ovvero la “plasticosi”, che comporta la formazione di cicatrici lungo tutto il tratto digerente.

Tali cicatrici sono causate, naturalmente, dall’ingestione di piccoli frammenti di plastica, che accumulandosi nell’organismo causano infiammazione e irritazione cronica, con conseguenti danni a organi e tessuti, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza.

Quali sono gli effetti delle microplastiche sulla salute?

Allo stato attuale non sappiamo ancora con certezza quali possano essere le effettive conseguenze della diffusione di microplastiche per la nostra salute. Sappiamo però che questo ingrediente indesiderato si trova nei nostri piatti più spesso di quanto potremmo pensare.

Per farla semplice: ogni anno mangiamo particelle di microplastiche, in quantità non così irrisorie quanto vorremmo. Secondo alcuni studi, ingeriamo circa 250 grammi all’anno di microplastiche, e non sappiamo ancora quale sia la quantità “accettabile” per il nostro organismo.

Di certo non ci siamo evoluti per digerire la plastica, e questo dovrebbe essere un dato di fatto. Per di più, gran parte dei materiali plastici che rilasciano microplastiche nell’ambiente sono stati trattati con sostanze chimiche ben poco benefiche, come coloranti e altre sostanze, e ciò non può che sollevare ulteriori perplessità e preoccupazioni in merito agli effetti dell’ingestione di questi materiali.

ciclo delle microplastiche
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Quali rischi per la salute?

Attualmente sono in corso svariati studi che mirano a spiegare perché le microplastiche sono pericolose per la salute dell’uomo. Nel frattempo, ricordiamo che a lungo andare queste micro-particelle si accumulano nel corpo, nelle vie respiratorie, e sono già state rinvenute in dei campioni di sangue e di feci degli esseri umani. Le microplastiche possono accumularsi negli organi e nei tessuti, e sono state rinvenute persino della placenta e nei tessuti cardiaci.

Rimane da capire se la presenza di tali micro-sostanze possa in qualche modo influenzare il rischio di sviluppare neoplasie o malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson o la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Dal momento che è la dose a fare il veleno, presumibilmente il nostro organismo potrebbe “tollerare” una certa quantità di microplastiche, ma a livelli superiori rispetto a una certa soglia (è ancora da stabilire se esista effettivamente questa “soglia”), non sappiamo ancora quali potrebbero essere gli effetti sulla salute.

Quel che è certo e inequivocabile è che, ancora una volta, noi esseri umani stiamo intossicando il nostro corpo a causa del nostro scarso rispetto nei confronti dell’ambiente.

Come risolvere il problema delle microplastiche?

Dai mari alle montagne, dall’acqua del rubinetto fino al merluzzo che abbiamo gustato proprio oggi a pranzo, le microplastiche sono presenti in maniera invadente e capillare.

Conoscere le cause di questa tipologia di inquinamento dovrebbe rappresentare già un ottimo inizio per riuscire a risolverlo. Eppure, la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga e cosparsa di rifiuti e sostanze nocive e inquinanti.

Per poter ridurre la portata di questo problema, è necessario uno sforzo da parte di tutti. Non dobbiamo aspettare che siano gli altri (le aziende, i governi, il vicino di casa) a fare qualcosa di concreto, ma dobbiamo impegnarci in prima persona. In che modo? Migliorando le nostre abitudini quotidiane. Per ridurre l’inquinamento da microplastiche possiamo cominciare con questi semplici gesti quotidiani:

  • Utilizzare detersivi ecologici per lavare la biancheria
  • Prediligere indumenti realizzati con tessuti sostenibili e naturali, come cotone, canapa o bambù
  • Avviare lavaggi a basse temperature per i capi sintetici, impostando la lavatrice a cicli delicati e con bassi giri di centrifuga
  • Abbracciare uno stile di vita plastic free, riducendo la produzione di rifiuti di plastica, scegliendo prodotti con imballaggi più eco-sostenibili, come il vetro o il cartone riciclato
  • Riutilizzare i rifiuti di plastica per dar vita a dei progetti creativi ed eco-friendly
  • Non acquistare i capi di abbigliamento usa e getta (tipici del cosiddetto “fast fashion“), spesso realizzati con tessuti di bassa qualità, perlopiù sintetici
  • Riciclare correttamente i rifiuti di plastica, evitando di disperdere sacchetti, bottiglie e flaconi nell’ambiente.

Le aziende, invece, devono evitare di aggiungere microplastiche nei cosmetici e nei prodotti per la pulizia della casa. Le lavatrici dovrebbero essere dotate di appositi filtri in grado di impedire il rilascio delle microfibre e, di conseguenza, di microplastiche in mare. I produttori di detersivi, invece, dovrebbero proporre dei saponi meno aggressivi ed efficaci anche alle basse temperature.

Come consumatori, abbiamo la possibilità di scegliere e premiare le aziende più virtuose, quelle che si impegnano concretamente nel ridurre il proprio impatto sull’ambiente.

Il contributo della scienza

Scienziati ed esperti, infine, si stanno impegnando attivamente per progettare dei metodi in grado di accelerare il processo di decomposizione della plastica.

Il tempo di degradazione di questo materiale, infatti, può andare dalle centinaia fino a un migliaio di anni. Di conseguenza, è essenziale riuscire a trovare soluzioni, ad esempio basate sull’utilizzo di enzimi e batteri, per decomporre rapidamente la plastica che si è già accumulata nell’ambiente.

Fonti

Fonte: Guardian

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