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Infarto e ictus, lavorare nelle ore notturne aumenta i rischi

Infarto e ictus, lavorare di notte e su turni aumenta il rischio: è quanto rivela un nuovo studio sui ritmi circadiani dell'organismo.

Infarto e ictus, lavorare nelle ore notturne aumenta i rischi

Fonte immagine: Pexels

Il rischio di infarto e ictus è più alto per coloro che lavorano su turni lavorativi. È quanto rivela un nuovo studio condotto dall’Università di Lisbona, sugli effetti dell’alterazione dei naturali cicli circadiani sulla salute. Più ci si allontana dai ritmi biologici di sonno e veglia, maggiore è la probabilità di sperimentare gravi problematiche cardiovascolari.

Una ricerca che evidenzia la necessità di ripensare l’intero universo lavorativo, soprattutto in un’era dove lo persone sono sottoposte a stress continui e costrette a rinunciare a molte ore di riposo e socializzazione a causa dei loro doveri professionali.

Infarto e ictus, con i turni si rischia di più

Gli scienziati hanno voluto confrontare il rischio cardiovascolare dei lavoratori sui turni rispetto a invece professionisti con orari d’ufficio classici. In particolare, gli esperti hanno voluto monitorare i dipendenti di magazzini e depositi, dove la presenza è spesso notturna e l’esposizione alla luce solare alterata.

Dalle analisi, è emerso come lavorare sui turni – soprattutto notturni – sia decisamente in contrasto con i ritmi biologici dell’organismo, tanto da modificare i cicli circadiani e innalzare i rischi cardiovascolari dei dipendenti. L’orologio biologico non riesce infatti a tenere il passo con le necessità lavorative, tanto che si verifica un mancato allineamento ogni quattro ore. E questo, nel lungo periodo, porta all’aumento del 31% del rischio di soffrire di gravi patologie cardiovascolari come infarto e ictus.

In particolare, gli scienziati hanno notato due fenomeni dannosi. Il primo è quello dell’aumento dell’affaticamento e dello stress, poiché le fasi di riposo non corrispondono con quelle di relax biologico dell’organismo. La persona rischia quindi di poter dedicare al riposo solo le ore in cui in realtà i ritmi circadiani sono più attivi e, viceversa, di lavorare quando invece l’organismo entra nella sua fase di fisiologico rallentamento. Il secondo è quello del “social jetlag”, ovvero l’impossibilità di far coincidere i ritmi di vita e di socializzazione con le necessità professionali.

Nel dettaglio, il campione analizzato ha compreso 301 lavoratori, sparsi su cicli lavorativi di 24 ore. Per l’analisi, sono stati considerati tre turni: dalle 6 alle 15, dalle 15 a mezzanotte e dalle 21 alle 6. I dipendenti sono stati quindi sottoposti a continui questionari per determinarne l’affaticamento e lo stress, quindi sono stati valutati alcuni valori nel sangue come colesterolo, ormoni associati allo stress e pressione.

Per la quasi totalità del campione si è registrata una disparità di due ore tra i ritmi circadiani e le necessità lavorative. Per il 59% delle persone il “social jetlag” si estende per almeno due ore quotidiane, mentre per il 33% arriva anche a quattro. Circa l’8% degli intervistati subiva un mancato allineamento superiore alle quattro ore.

Gamboa Madeira, uno degli autori alla base dello studio sul cuore, ha così commentato i risultati:

Abbiamo tutti un orologio biologico interno, che varia tra i “tipi mattinieri” – le persone che sono più produttive la mattina presto e rallentate la sera – e coloro per cui vale l’opposto. La maggior parte della popolazione si trova all’interno di questi due estremi. Il mancato allineamento circadiano si verifica quando non è possibile sovrapporre quello di cui l’organismo vuole (ad esempio, addormentarsi alle 22) e ciò che gli obblighi sociali impongono (ed esempio, lavorare fino a mezzanotte). I risultati dello studio suggeriscono come lo staff impiegato su orario atipico dovrebbero essere sottoposti a controlli più profondi per monitorare la salute del cuore.

Fonte: Daily Mail

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