Greenstyle Alimentazione Stop pesticidi nel piatto 2023: cosa dice l’ultimo report di Legambiente

Stop pesticidi nel piatto 2023: cosa dice l’ultimo report di Legambiente

Ecco cosa emerge dal rapporto Stop pesticidi nel piatto 2023 di Legambiente: i dati e la preoccupazione per il multiresiduo.

Stop pesticidi nel piatto 2023: cosa dice l’ultimo report di Legambiente

Fonte immagine: Pixabay

Puntualissimo come ogni anno, Legambiente ha diffuso l’ultima edizione del rapporto Stop pesticidi nel piatto, il punto della situazione sui fitofarmaci presenti negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole di italiane e italiani. Cosa è emerso nel corso dell’ultimo anno? Come viene effettuata l’analisi e cosa è cambiato rispetto al report del 2022? Vediamolo insieme.

Cos’è il rapporto “Stop pesticidi nel piatto”

Ogni anno Legambiente e Alce Nero elaborano da tempo un report che raccoglie tutte le analisi fatte dalle Asl, dalle Arpa e dai presidi zonali sugli alimenti che mangiamo ogni giorno, con l’obiettivo di capire quanti e quali fitofarmaci sono presenti in essi. Cosa si intende per fitofarmaci? Ce lo dice la definizione del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica:

Prodotti fitosanitari: noti anche con il termine di “fitofarmaci”, “antiparassitari, “pesticidi” o “agrofarmaci”, i prodotti fitosanitari sono utilizzati per il controllo di qualsiasi organismo nocivo per le piante coltivate (insetti, acari, funghi, batteri, roditori, ecc.), oltre che per l’eliminazione delle erbe infestanti e la regolazione dei processi fisiologici dei vegetali (dai prodotti fitosanitari sono comunque esclusi i fertilizzanti, vale a dire i prodotti utilizzati per la nutrizione delle specie vegetali coltivate e per il miglioramento della fertilità del terreno).

L’uso dei prodotti fitosanitari risulta in molti casi indispensabile per proteggere i prodotti vegetali destinati all’alimentazione dell’uomo e degli animali, ma le sostanze attive in essi contenute possono presentare effetti dannosi per l’ambiente e la salute umana.

Il punto del 2022: cosa era emerso?

Sul finire del 2022 il rapporto elaborato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero in relazione all’anno precedente, il 2021, aveva rivelato come solo il 54,8% dei campioni analizzati tra gli alimenti che arrivano ogni giorno sulle tavole degli italiani fosse risultato senza residui di pesticidi. Nel 44,1% dei casi, dato in crescita rispetto all’anno precedente, erano state invece trovate tracce di uno o più fitofarmaci.

La situazione più grave era stata identificata nella frutta, con oltre il 70,3% dei campioni contenenti uno o più residui, a cominciare dall’uva da tavola (88,3%) e passando per le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%), mentre tra gli alimenti trasformati erano stati il vino e i cereali integrali quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 61,8% e il 77,7%.

I dati del report 2023 di Legambiente

L’ultimo rapporto di Legambiente e Alce Nero ha fatto segnare uno speranzoso miglioramento della situazione rispetto all’anno precedente. Nel corso dello studio, condotto nel 2022, sono stati analizzati 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale e relativi a 15 Regioni d’Italia.

La nota ufficiale diffusa da Legambiente parla chiaro: “Scendono al 39,21% i campioni di alimenti di origine vegetale e animale in cui sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci. La frutta si conferma la categoria più colpita dalla presenza di residui: oltre il 67,96% dei campioni ne contiene uno o più, l’88,17% dei prodotti di origine animale è risultato privo di residui“.

Nel dettaglio, si legge nel report che potete consultare a questo indirizzo, le tipologie di alimenti più colpite dalla presenza di fitofarmaci sono risultate essere, in ordine decrescente: pere (84,97%), pesche (83,00%), mele (80,67%). Nella frutta esotica (banane, kiwi e mango) è stata riscontrata la percentuale più alta di irregolarità, pari al 7,41%. Per quanto riguarda la verdura, gli alimenti più colpiti dalla presenza di residui sono stati: peperoni (53,85%), insalate e pomodori (entrambi a quota 53,14%), ortaggi da foglia (38,12%).

Rispetto al report precedente, quindi, si è registrato un piccolo miglioramento: il 59,18% degli alimenti è risultato regolare e privo di residui, in lieve aumento rispetto a quel 54,8% dei campioni presi in considerazione nell’edizione 2022 di Stop pesticidi nel piatto.

Le sostanze rintracciate

Nei campioni analizzati sono state rintracciate 95 sostanze attive provenienti da fitofarmaci. In 3 campioni di uva passa sono stati rintracciati 17 residui, in un campione di pesca 14 residui, in un campione di fragola 12 residui. Dall’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, anche dati sui prodotti importati: in un peperone proveniente dalla Cambogia sono stati rintracciati addirittura 28 residui.

Tra i pesticidi più presenti, Legambiente ha segnalato, in ordine decrescente: Acetamiprid, Fludioxonil, Boscalid e Dimethomorph. Da segnalare la presenza di residui di neonicotinoidi non più ammessi come Thiacloprid in campioni di pesca, pompelmo, ribes nero, semi di cumino e tè verde in polvere; Imidacloprid in un campione di arancia, 2 campioni di limoni, 3 campioni di ocra; Thiamethoxam in un campione di caffè.

Cos’è il multiresiduo e cosa si può fare a livello europeo?

A preoccupare Legambiente è la presenza molto frequente del cosiddetto multiresiduo, vale a dire la compresenza di più residui di sostanze nocive nel medesimo campione. Come è possibile che residui di più di una sostanza nociva siano presente in alimenti che portiamo ogni giorno sulle nostre tavole? Le possibilità sono diverse, dalla presenza di più principi attivi nello stesso pesticida usato o dall’uso di diversi tipi di sostanze attive, ma anche dalla contaminazione durante la lavorazione degli alimenti passando per l’assorbimento di residui persistenti attraverso il terreno o dalla dispersione proveniente da trattamenti effettuati su campi limitrofi.

Perché dobbiamo preoccuparci del multiresiduo? Prima di capire il perché è doveroso comprendere il limite massimo di residuo, vale a dire la più alta quantità di un pesticida legalmente tollerata negli alimenti, stabilita a livello europeo per ogni fitofarmaco in base all’uso che se ne fa in agricoltura (quantità e frequenza di applicazione e fase di crescita della pianta durante l’applicazione) e su due valori tossicologici:

  • tossicità cronica o a lungo termine: la dose giornaliera accettabile di pesticida (ADI)
  • tossicità acuta o a breve termine: la dose che non deve mai essere superata, neanche in un’unica assunzione (ARfD)

Se il limite massimo di residuo è messo nero su bianco, quello che al momento non viene regolamentato è il multiresiduo e il problema non è di poco conto. Sappiamo cosa può provocare una certa sostanza, ma non cosa succede quando entrano in gioco diverse sostanze insieme. È la stessa Legambiente a sottolinearlo nel lungo report Stop pesticidi nel piatto:

Le interazioni di più principi attivi provocano effetti differenti a carico dell’organismo a seconda della struttura chimica delle sostanze nocive. Possono scaturire effetti antagonisti, additivi o addirittura sinergici tali da provocare danni amplificati, irreversibili e perfino imprevedibili rispetto alla loro singola azione.

La richiesta di Legambiente è chiara: “Il multiresiduo deve essere combattuto attraverso procedimenti normativi. Gli effetti dei “cocktail di fitofarmaci” devono essere prevenuti e arginati. Una legge appare come l’unica soluzione per fare da argine“.

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