Le differenze storiche tra vecchi e nuovi iscritti al sistema pensionistico(www.greenstyle.it)
Il sistema pensionistico italiano continua a evolversi, soprattutto dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 94/2025.
La distinzione fondamentale nel sistema previdenziale italiano passa attraverso il 1996, anno di entrata in vigore della riforma Dini (Legge 8 agosto 1995, n. 335), che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo a capitalizzazione simulata, rivoluzionando il modo di determinare le pensioni.
- I vecchi iscritti sono coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 1996. Per loro, il calcolo della pensione prevede una quota retributiva, basata sulle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro, ritenuto più vantaggioso in termini di importi.
- I contributivi puri, invece, hanno iniziato a versare contributi dal 1° gennaio 1996 in poi, e la loro pensione è calcolata interamente con il metodo contributivo, ossia in base ai contributi effettivamente versati nel corso della carriera lavorativa.
Queste differenze si riflettono anche nelle condizioni di accesso al pensionamento: i vecchi iscritti possono andare in pensione con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi, mentre per i contributivi puri è necessario che la pensione sia almeno pari all’assegno sociale INPS, una soglia che tradizionalmente ha limitato l’accesso alle prestazioni minime per questa categoria.
La sentenza della Corte Costituzionale e l’estensione delle integrazioni al trattamento minimo
L’innovazione più rilevante degli ultimi mesi riguarda la sentenza n. 94 del 2025 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima la parte della riforma Dini che impediva ai contributivi puri di beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo per le pensioni di invalidità.
Questa decisione ha segnato un punto di svolta: ora anche i pensionati con calcolo interamente contributivo possono accedere all’integrazione al minimo, almeno per le prestazioni di invalidità. Fino a oggi, tale integrazione era riservata esclusivamente ai vecchi iscritti con sistema misto o retributivo.
L’effetto immediato è un possibile aumento delle pensioni per una fascia di pensionati finora esclusa da queste tutele, con un miglioramento rilevante del loro reddito mensile, che potrebbe avvicinarsi o superare la soglia dei 603 euro al mese, corrispondente all’assegno sociale INPS.

La sentenza apre la porta a ulteriori richieste di estensione delle integrazioni al trattamento minimo anche per altre categorie di pensionati contributivi puri, non solo per le pensioni di invalidità. La strada da percorrere sarà quella dei ricorsi legali, con la possibilità che la giurisprudenza continui a riconoscere equità nel trattamento pensionistico tra vecchi e nuovi iscritti.
Se questo orientamento dovesse consolidarsi, si potrebbe assistere a una vera e propria rivoluzione nelle pensioni minime, con un possibile rialzo generalizzato delle prestazioni per i lavoratori che hanno iniziato a contribuire dopo il 1995.
Va ricordato che il sistema contributivo, introdotto con la riforma Dini, è stato pensato per garantire un nesso diretto tra contributi versati e prestazioni percepite, ma ha portato a pensioni di importo inferiore rispetto al sistema retributivo, soprattutto per chi ha una carriera lavorativa discontinua o con redditi bassi. L’integrazione al trattamento minimo rappresenta quindi uno strumento fondamentale per assicurare un livello minimo di sostentamento a tutti i pensionati.
Il sistema contributivo e la riforma Dini: una panoramica aggiornata
La riforma Dini rappresenta uno spartiacque nel sistema previdenziale italiano. Prima del 1996, il sistema retributivo basava la pensione sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni di attività, un modello che ha mostrato limiti di sostenibilità a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti demografici.
Con l’entrata in vigore della riforma, è stato introdotto il sistema contributivo a capitalizzazione simulata, in cui la pensione è calcolata esclusivamente sui contributi versati, rivalutati in base a indici di crescita economica, e trasformati in rendita con coefficienti legati all’età del pensionamento.
Il passaggio completo al sistema contributivo è stato sancito dalla riforma Fornero del 2011, che ha esteso il calcolo contributivo a tutte le anzianità maturate a partire dal 1° gennaio 2012, applicando il sistema “pro-rata” per chi aveva contributi maturati prima di tale data.
