
Basta caffè sul lavoro - greenstyle.it
Puoi essere licenziato perché bevi troppi caffè? Sembra incredibile ma è proprio così: la sentenza della Cassazione è assurda.
Questa storia sembra davvero difficile da credere, eppure è proprio così. Bere troppi caffè sul posto di lavoro potrebbe risultare in un licenziamento in tronco da parte del datore di lavoro e con una sentenza della Corte di Cassazione che conferma la legittimità della cosa.
Una storia vera accaduta ad un lavoratore italiano che fa riflettere sulla necessità di rispettare determinate regole sul posto di lavoro, se non si vuole rischiare di rovinarsi la vita. Ma com’è andata la vicenda? Si può davvero licenziare per un caffè di troppo?
Licenziato per un caffè di troppo: perché la Cassazione ha confermato la sentenza
Naturalmente c’è molto di più di quanto sembri, dietro questa storia. Il lavoratore in questione, un operatore della nettezza urbana, aveva già ricevuto diversi richiami ufficiali per inadempienze del lavoro. La sua posizione in azienda era dunque già compromessa e non propriamente rosea. Dunque il datore di lavoro aveva motivi per non fidarsi più del suo dipendente.

Ecco perché ha chiamato un investigatore privato perché seguisse il dipendente durante il suo turno, soltanto per scoprire che l’uomo passava il tempo da un bar all’altro per un caffè. Ecco arrivata la lettera di licenziamento. Come riporta il sitoweb Brocardi.it, la Corte di Cassazione ha ritenuto giusto l’operato del datore, con le seguenti motivazioni ufficiali:
- le disposizioni degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori
- l’intervento in questione è giustificato “per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione” (Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017)
- i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo.
- la nozione di “patrimonio aziendale” – tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori – va intesa in una accezione estesa: il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio è, cioè, costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, “ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico” (Cass. n. 2722 del 2012).
Considerando la situazione precedente del lavoratore, è dunque da ritenersi legittimo il comportamento del datore di lavoro.