La Corte Costituzionale ha espresso un verdetto decisivo in materia di pensioni di invalidità, stabilendo alcuni cambiamenti.(www.greenstyle.it)
La Corte Costituzionale ha espresso un verdetto decisivo in materia di pensioni di invalidità, stabilendo alcuni cambiamenti.
Questa pronuncia, contenuta nella sentenza n. 94/2025, ha dichiarato incostituzionale una parte della riforma Dini (legge n. 335/1995), modificando in modo significativo il panorama previdenziale per circa un milione di pensionati d’invalidità in Italia.
L’assegno ordinario d’invalidità è una prestazione INPS rivolta a lavoratori dipendenti e autonomi, compresi quelli iscritti alla gestione separata, che abbiano versato contributi per almeno cinque anni, di cui tre negli ultimi cinque anni precedenti alla domanda. Inoltre, è necessario il riconoscimento di una capacità lavorativa permanentemente ridotta di almeno due terzi a causa di infermità fisiche o mentali.
Tradizionalmente, le pensioni di invalidità erano soggette a un meccanismo di integrazione al minimo che garantiva un importo minimo mensile, fissato oggi a 603,40 euro. Tuttavia, tale integrazione era riservata solo ai pensionati con contributi versati prima del 1° gennaio 1996, cioè soggetti al regime retributivo o misto. Per chi ha cominciato a lavorare dopo tale data, con contributi calcolati secondo il sistema contributivo, il meccanismo d’integrazione era stato escluso in via definitiva dalla riforma Dini, con l’obiettivo dichiarato di assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico.
La sentenza della Consulta ha ribaltato questa esclusione, riconoscendo che la tutela del trattamento minimo per le pensioni di invalidità deve essere estesa anche a chi ha contributi esclusivamente nel regime contributivo. La Corte ha sottolineato come tale integrazione sia finanziata attraverso la fiscalità generale, analogamente alle prestazioni assistenziali, e non impatti direttamente sulla sostenibilità previdenziale.
Implicazioni della sentenza: benefici solo per il futuro, no arretrati
Nonostante il riconoscimento del diritto all’integrazione al minimo da parte della Consulta, l’efficacia della sentenza è stata limitata nel tempo: gli effetti decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione ufficiale in Gazzetta Ufficiale, senza riconoscimento di arretrati per il passato. Questa decisione nasce dalla considerazione dell’INPS e del Governo dello “ingente e improvviso aggravio per la finanza pubblica” che avrebbe comportato il pagamento retroattivo degli arretrati, con un impatto difficile da sostenere per il bilancio statale.
Di conseguenza, i pensionati d’invalidità che hanno visto il proprio assegno calcolato esclusivamente secondo il sistema contributivo potranno vedere un aumento del proprio trattamento mensile a partire da ora, ma non potranno ricevere somme arretrate.

La sentenza n. 94/2025 rappresenta un importante riconoscimento per i lavoratori invalidi, in particolare per la cosiddetta generazione “giovane” di pensionati, che ha versato contributi solo dopo il 1996. Fin dalla sua introduzione con la legge n. 222/1984, l’assegno d’invalidità è stato concepito come una misura di sostegno a fronte di una situazione di bisogno particolare e meritevole di tutela speciale.
La Corte ha evidenziato che il passaggio al sistema contributivo non può comportare una riduzione della protezione sociale offerta ai lavoratori invalidi, soprattutto perché l’assegno d’invalidità può essere necessario anche in età più giovane rispetto all’età di accesso all’assegno sociale, oggi fissata a 67 anni.
Grazie a questa sentenza, si sancisce che la tutela dei pensionati invalidi è un principio che deve valere indipendentemente dal regime contributivo applicato al momento della liquidazione della pensione, riaffermando così il valore sociale della misura.
La decisione della Consulta segna dunque un importante passo nel riconoscimento dei diritti previdenziali, con una particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione lavorativa italiana. Tuttavia, il limite temporale imposto dalla Corte sulle decorrenze implica che il riconoscimento di tali diritti si tradurrà in benefici concreti solo per il futuro, limitando l’impatto immediato sulla situazione economica dei pensionati invalidi.
