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Pellicce illegali di cane procione, marchio di lusso nella bufera

Pellicce illegali di cane procione, marchio di lusso nella bufera: The Age denuncia un brand australiano che impiega la specie asiatica.

Pellicce illegali di cane procione, marchio di lusso nella bufera

Fonte immagine: Pixabay

Pellicce di cane procione impiegate illegalmente per produrre accessori, scoppia la bufera su un marchio di lusso della moda australiana. È questa la polemica che sta tenendo banco sui social in questi giorni, in seguito ad alcune analisi indipendenti condotte da un laboratorio tessile del Regno Unito. A quanto pare, il brand australiano avrebbe impiegato pellicce dell’esemplare asiatico senza avvertire debitamente gli acquirenti, riportando invece in etichetta una diversa origine.

Sebbene questi prodotti vedano una distribuzione pressoché locale, tramite i social network il caso ha ottenuto in poco tempo una rilevanza internazionale. Protestano le associazioni animaliste, pronte a chiedere pesanti sanzioni, ma il brand si difende specificando di essersi fidato dei propri fornitori.

Pellicce illegali di procione, è polemica

Così come riferisce The Age, il caso è esploso quando un laboratorio tessile britannico – Microtex – ha deciso di analizzare alcuni dei prodotti moda immessi sul mercato da Alexandra Australia. In particolare degli accessori ricoperti di pelliccia colorata, come bracciali e manette.

Le analisi forensi condotte su questi bracciali hanno confermato il ricorso alla pelliccia di cane procione, sebbene non fosse correttamente indicata in etichetta. Il manto di questa specie asiatica viene spesso utilizzato illegalmente sul mercato internazionale delle pellicce, poiché dalle caratteristiche simili a quelle di animali considerati più pregiati, come ad esempio i furetti. Non è però tutto: il laboratorio ha rinvenuto anche l’uso di manti ricavati da volpi per alcuni anelli, pur in assenza di una precisa indicazione in etichetta.

Una rappresentante dell’azienda australiana ha però voluto rispondere alle accuse, specificando che la società si è affidata a fornitori localmente certificati, di cui si avvalgono anche molti altri competitor:

Supportiamo senza riserve un trattamento umano per tutti quegli animali impiegati dalle industrie, sia si tratti di pellicce che di pelle, prodotti alimentari oppure cosmetici.

Sulla questione è intervenuta anche Consumer Affairs Victoria, un’associazione per i consumatori che dal 2019 ha avviato delle campagne di monitoraggio dei brand dell’abbigliamento e della moda. Negli ultimi anni, diversi marchi locali avrebbero impiegato derivati di origine animale senza informare debitamente gli acquirenti, così come previsto dalla legge. Tanto che un’indagine a campione condotta lo scorso anno su alcuni dei capi d’abbigliamento venduti presso il Queen Victoria Market, uno dei più importanti dello stato di Victoria, ha confermato delle gravi anomalie. Alcune aziende hanno venduto pellicce vere spacciandole come ecologiche, altri pelli sintetiche in realtà al 100% ricavate da bovini.

Secondo le leggi in vigore in Australia, la presenza di dichiarazioni false e fuorvianti sulle etichette può portare a multe tra 500.000 e 10 milioni di dollari australiani, a seconda si tratti di singoli oppure grandi compagnie a violare la legge.

Alcune associazioni locali, come Animal Justice Party e il gruppo di sensibilizzazione Collective Fashion Justice, hanno ricordato come i cani viverrini – ovvero i procioni asiatici – vengano sottoposti a trattamenti brutali, come l’elettroshock oppure l’essere scuoiati vivi, poiché i controlli sono difficili da attuare. Non rientrando nelle specie più pregiate del mercato delle pellicce, ma impiegati come alternative non dichiarate, i maltrattamenti risultano complessi da identificare da parte degli organi di tutela animale.

Fonte: The Age

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