Il quadro pensionistico nel Mezzogiorno e la situazione pugliese(www.greenstyle.it)
Nel contesto economico, emerge un dato allarmante: nel Mezzogiorno d’Italia le pensioni erogate supera quello dei lavoratori attivi.
Secondo l’ultima indagine dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, questa condizione riguarda in modo particolarmente critico regioni come la Puglia, dove lo squilibrio è più marcato, con ripercussioni evidenti sull’equilibrio dei conti pubblici e sulla sostenibilità del sistema previdenziale.
Nel 2024, il Mezzogiorno italiano ha registrato la presenza di circa 7,3 milioni di pensioni erogate, a fronte di poco più di 6,4 milioni di lavoratori occupati. Si tratta di un fenomeno unico nel Paese, in quanto le altre ripartizioni geografiche mostrano un saldo positivo tra lavoratori e pensionati. La Puglia, in particolare, evidenzia un saldo negativo di circa 231.700 unità, confermandosi la regione più squilibrata rispetto a questo rapporto.
La situazione nelle altre regioni del Centro-Nord appare più sostenibile: Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia Romagna e Toscana registrano saldi positivi, rispettivamente con oltre 800 mila, 395 mila, 377 mila, 227 mila e 184 mila lavoratori in più rispetto ai pensionati. Questo è frutto del miglioramento dell’occupazione negli ultimi anni, che ha contribuito a rafforzare la base contributiva.
Il disallineamento pugliese si riflette anche a livello provinciale, con Lecce che rappresenta la provincia più critica a livello nazionale, con una differenza negativa di oltre 90 mila pensioni rispetto ai lavoratori attivi. Seguono altre province meridionali come Reggio Calabria, Cosenza, Taranto e Messina, tutte con saldo negativo significativo. Questo squilibrio è attribuibile non soltanto alle pensioni di vecchiaia o anticipate, ma soprattutto alla diffusione di assegni assistenziali e di invalidità, che caratterizzano l’area.
Cause e conseguenze dello squilibrio
Lo squilibrio tra pensioni erogate e lavoratori attivi è il risultato di quattro fattori strettamente interconnessi: denatalità, invecchiamento della popolazione, basso tasso di occupazione e lavoro irregolare. La combinazione di questi elementi ha ridotto in modo progressivo la platea dei contribuenti, aumentando nel contempo il numero di beneficiari del welfare.
Il Mezzogiorno, con la sua struttura demografica e occupazionale più fragile, è il territorio più esposto a questa dinamica. La conseguenza è un aumento della spesa pubblica destinata alle pensioni, che rischia di compromettere la stabilità economica e sociale non solo regionale, ma anche nazionale. Nel breve termine, la situazione richiede un intervento urgente per ampliare la base occupazionale, in particolare facendo emergere il lavoro nero e incrementando l’occupazione di giovani e donne, categorie in cui l’Italia fatica a raggiungere i livelli medi europei.

Entro il 2029, si prevede che oltre 3 milioni di italiani lasceranno il lavoro, di cui circa il 74% nel Centro-Nord. Questo esodo segnerà un cambiamento epocale nel mercato del lavoro, con impatti sociali ed economici rilevanti. La carenza di giovani lavoratori si riflette anche nell’indice di anzianità dei dipendenti: regioni come la Basilicata, la Sardegna e il Molise presentano un rapporto molto alto tra lavoratori sopra i 55 anni e quelli sotto i 35.
In Puglia, e in particolare nella provincia di Lecce, la situazione è ulteriormente aggravata dalla difficoltà delle imprese a reperire figure professionali qualificate, una problematica che limita le prospettive di sviluppo economico e la capacità di innovazione.
Squilibri anche nel Nord Italia e prospettive future
Nonostante le differenze, anche alcune province del Nord come Rovigo, Sondrio, Alessandria e Genova mostrano un saldo negativo tra pensioni erogate e lavoratori attivi, soprattutto nelle aree con forte invecchiamento demografico. Complessivamente, solo 59 province italiane su 107 monitorate presentano un saldo positivo.
Questo indica che la problematica coinvolge tutto il Paese e che le strategie di intervento dovranno essere articolate e differenziate per territorio, con un focus particolare sulle aree più fragili come il Mezzogiorno.
La sostenibilità del sistema pensionistico italiano dipenderà quindi da una serie di fattori: l’incremento dell’occupazione regolare, la promozione di politiche demografiche efficaci, la valorizzazione del capitale umano giovane e femminile, oltre a una più efficiente gestione delle risorse pubbliche.
