Pensione minima, quanti anni devo lavorare per ottenerla sicuramente?

Pensione minima, quanti anni devo lavorare per ottenerla sicuramente? - greenstyle.it
Accedere alla pensione con meno di 20 anni di contributi è possibile: ecco tutte le deroghe previste dalla legge italiana e i casi particolari.
Torna al centro del dibattito il tema dei requisiti per la pensione minima, una questione che interessa migliaia di cittadini prossimi al pensionamento. La normativa italiana prevede, in linea generale, almeno 20 anni di contributi per accedere alla pensione di vecchiaia. Ma non tutti sono soggetti alla stessa regola: esistono eccezioni precise, riconosciute dalla legge, che permettono di ottenere la pensione anche con 15 o perfino 5 anni di versamenti, a determinate condizioni. Con un panorama previdenziale in continua trasformazione, diventa fondamentale orientarsi tra le regole attuali, le sentenze più recenti e le peculiarità legate alle casse professionali.
Deroghe alla regola dei 20 anni: chi può andare in pensione con 15 anni
Il requisito standard per la pensione di vecchiaia è fissato a 20 anni di contribuzione effettiva. La base normativa resta la Legge Fornero del 2011, che ha confermato questo limite come condizione imprescindibile, accompagnata da un’età anagrafica che nel 2025 è fissata a 67 anni, soggetta a futuri adeguamenti legati alla speranza di vita. La contribuzione può includere periodi obbligatori, volontari, figurativi, da riscatto o da ricongiunzione.
Eppure, esistono deroghe tuttora in vigore, risalenti alla Legge Amato del 1992, che permettono l’accesso alla pensione con soli 15 anni di versamenti, ma solo in tre casi specifici. Il primo riguarda chi, al 31 dicembre 1992, aveva già maturato almeno 15 anni di contributi, inclusi quelli figurativi. Il secondo coinvolge i lavoratori che, entro il 26 dicembre 1992, erano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria dei versamenti, anche se i pagamenti sono iniziati dopo. Infine, c’è spazio per i dipendenti con almeno 25 anni di anzianità assicurativa e occupazione discontinua, con meno di 52 settimane l’anno per almeno 10 anni, spesso legati a carriere frammentate o a part-time involontari.

Queste tre categorie sono tutelate da diverse circolari INPS, come la n. 35/2012 e la n. 117/2020, ma anche da recenti sentenze di merito: tra queste, la n. 519/2025 del Tribunale di Nola e la n. 2829/2023 del Tribunale di Bari. Entrambe hanno ribadito la legittimità dell’accesso agevolato al trattamento di vecchiaia, in presenza di condizioni oggettive e documentate. Va ricordato che non è possibile scegliere liberamente la deroga, ma solo dimostrare di rientrarvi pienamente secondo i requisiti previsti.
Chi può andare in pensione con meno di 15 o solo 5 anni di contributi
Un discorso a parte riguarda i contributivi puri, ossia i lavoratori il cui primo accredito risale a dopo il 1° gennaio 1996. Per questa categoria, si applica il sistema interamente contributivo, e non valgono le regole retributive precedenti. In questo caso, è ammessa la pensione di vecchiaia con appena 5 anni di contributi effettivi, ma l’accesso è subordinato a vincoli più stringenti.
L’età minima per usufruirne è fissata a 71 anni nel 2025, salvo futuri adeguamenti. Inoltre, l’importo della pensione maturata deve essere pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, a meno che non si raggiunga un’età anagrafica ancora superiore che consenta l’accesso anche con un importo più basso. In pratica, se la pensione calcolata è troppo bassa, si viene esclusi dal beneficio fino a quando non si verificano entrambe le condizioni richieste.
Un esempio concreto: un lavoratore con soli 8 anni di contributi, iniziati nel 1998, potrà accedere alla pensione a 71 anni, ma non a 67, a meno di aver maturato un importo sufficiente. Chi non raggiunge i valori minimi dovrà continuare a versare o attendere il limite anagrafico massimo. Il sistema, infatti, punta a garantire una prestazione non simbolica, evitando il rischio di trattamenti troppo bassi che peserebbero sul welfare assistenziale.
Da considerare anche le casse professionali (avvocati, medici, ingegneri, commercialisti), che applicano regole proprie. Alcune di esse consentono la pensione a 65 anni con almeno 30 anni di contributi, mentre altre permettono l’uscita a 70 anni anche con meno versamenti, come confermato da una sentenza del Tribunale di Taranto (n. 2843/2024). Queste differenze rendono indispensabile consultare il regolamento specifico della propria categoria.
Va infine chiarita la distinzione tra pensione minima e integrazione al trattamento minimo: la prima si riferisce al diritto a una pensione, la seconda è un supporto assistenziale che aumenta l’importo, a patto che si rispettino determinati limiti reddituali e patrimoniali. Entrambe le misure richiedono attenzione ai dettagli e aggiornamenti periodici della normativa, che in Italia tende spesso a cambiare in base al quadro economico e politico.