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Inquinamento acustico, la pandemia di Covid lo ha dimezzato

Inquinamento acustico, la pandemia da coronavirus ne ha dimezzato l'entità in tutto il mondo: lo rivela un nuovo studio internazionale.

Inquinamento acustico, la pandemia di Covid lo ha dimezzato

Fonte immagine: Unsplash

L’inquinamento acustico a livello mondiale è stato dimezzato dalla pandemia da coronavirus, il tutto a vantaggio della natura. È quanto rivela uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Science e condotto da un team di ricercatori internazionali, provenienti dall’Imperial Collage di Londra, dall’Università di Oxford, dal Royal Observatory belga e dal servizio sismologico dell’ETH di Zurigo.

Monitorare l’inquinamento acustico, oltre a quello ambientale, è fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici. Recenti studi hanno infatti dimostrato come il rumore prodotto dall’uomo stia già avendo riflessi sull’ecosistema, ad esempio modificando le capacità di orientamento degli animali e alterando il normale ritmo di crescita delle piante marine negli oceani.

Inquinamento acustico e pandemia da coronavirus

La pandemia da coronavirus ha causato una diminuzione di più del 50% del rumore antropogenico, ovvero quello prodotto dall’uomo. È il risultato della riduzione del traffico stradale dovuta ai lockdown, ma anche ai minori spostamenti intercontinentali per viaggi o lavoro, nonché all’interruzione di molte attività produttive sul suolo. Addirittura, i ricercatori hanno rinvenuto livelli più bassi rispetto al Natale pre-pandemia, un periodo dell’anno dove il rumore prodotto dall’uomo è particolarmente ridotto.

I ricercatori hanno analizzato il rumore sismico rilevato nel terreno, ovvero quelle vibrazioni che vengono assorbite e rilasciate dagli stati più profondi della Terra, ad esempio durante un terremoto. Tali vibrazioni sono da anni influenzate dalle attività umane, si tratti del semplice traffico stradale o della trivellazione per l’estrazione di idrocarburi. Gli esperti hanno analizzato diverse zone campione, come diversi Paesi europei, gli Stati Uniti, Singapore, la Foresta Nera in Germania e la fitta vegetazione della Namibia. In totale sono state monitorate 268 stazioni sismiche, divise in 117 Paesi diversi.

Il risultato dei lockdown è stato un livello di rumore bassissimo, come non se ne registrava da 20 anni a questa parte. Così ha spiegato John Clinton, sismologo del Servizio Sismologico svizzero:

Le settimane durante il lockdown hanno rappresentato il periodo più calmo che abbiamo mai rilevato in 20 anni. Con il rumore dell’uomo sempre in crescita, è molto probabile che questo sia stato uno dei periodi più silenziosi da lunghissimo tempo a questa parte.

Per gli scienziati questa analisi ha rappresentato un’occasione senza pari, poiché difficilmente sarà possibile vivere una nuova situazione di estrema quiete. E servirà anche per capire sia come contrastare i cambiamenti climatici che come gestire le future sfide dell’urbanizzazione. Così spiega Thomas Lecca, del Royal Observatory Belga:

Con un’urbanizzazione sempre maggiore e una popolazione globale in crescita, sempre più persone vivranno in aree geologicamente pericolose. Diventa pertanto più importante iniziare a differenziare tra il rumore naturale e quello causato dell’uomo, affinché possiamo ascoltare e monitorare al meglio i movimenti che accadono sotto ai nostri piedi.

Fonte: Daily Mail

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