Invalidità e benefici per le Vittime del Dovere: una normativa specifica e aggiornata - greenstyle.it
La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza di grande rilievo che chiarisce dell’indennità di accompagnamento.
La pronuncia n. 28212 del 2025 ha stabilito un principio innovativo, affermando che la supervisione continua nella deambulazione costituisce a tutti gli effetti una condizione equivalente all’impossibilità di muoversi senza l’ausilio permanente di un accompagnatore, requisito fondamentale per accedere all’indennità.
L’indennità di accompagnamento è disciplinata principalmente dall’art. 1 della legge 21 novembre 1988, n. 508, e dalla legge 18/1980, che riconoscono il diritto alla prestazione a due categorie di persone: coloro che non sono in grado di camminare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e coloro che necessitano di assistenza continua per compiere gli atti quotidiani della vita.
Il caso oggetto della recente sentenza trae origine da un lungo contenzioso giudiziario. Un cittadino aveva richiesto all’INPS il riconoscimento dell’indennità, ma il tribunale di primo grado aveva respinto la domanda, ritenendo insufficiente la prova dell’impossibilità di deambulare senza assistenza. Gli eredi dell’uomo, deceduto nel frattempo, hanno proseguito la battaglia legale, contestando una valutazione ritenuta troppo restrittiva da parte del giudice e dell’ente previdenziale, che avevano interpretato in modo limitativo la nozione di “aiuto permanente”.
Già in una pronuncia del 2018 (sentenza n. 16611), la Cassazione aveva evidenziato incongruenze nella motivazione del tribunale e disposto un nuovo esame della causa. Nel 2021, con la sentenza n. 176, il tribunale ha riconosciuto il diritto all’indennità, ma gli eredi hanno nuovamente impugnato la decisione, chiedendo un riconoscimento più adeguato alle condizioni reali del loro congiunto.
La sentenza 28212/2025: la supervisione continua come aiuto permanente
La Suprema Corte ha accolto il ricorso degli eredi, ribaltando la precedente interpretazione. Fondamentale è stata la consulenza tecnica d’ufficio che ha documentato la necessità di assistenza e di vigilanza costante nella deambulazione, anche se senza un sostegno fisico diretto, a causa di un’andatura lenta e di un elevato rischio di cadute.
La Corte ha sottolineato che la supervisione continua integra pienamente il requisito previsto dalla legge per l’indennità di accompagnamento: non è indispensabile una completa incapacità motoria o un sostegno fisico costante, ma è sufficiente che la persona necessiti di una presenza costante che vigili e assista nei movimenti per motivi di sicurezza.
Questa interpretazione amplia significativamente la platea di potenziali beneficiari, includendo persone con forme di disabilità motoria parziali ma che presentano un alto rischio di incidenti senza assistenza continua. La sentenza ha inoltre disposto il rinvio al giudice di merito affinché applichi correttamente la nuova interpretazione e determini le spettanze economiche dovute, anche per i periodi pregressi in cui la prestazione era stata negata.

La nuova interpretazione ha un impatto diretto sulle modalità di accertamento sanitario da parte dell’INPS e sul contenzioso previdenziale. Le persone con ridotta autonomia motoria, che fino ad oggi sono state escluse dal beneficio perché in grado di compiere alcuni movimenti senza sostegno fisico diretto, potranno ora vedersi riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento.
Inoltre, la sentenza tutela anche i diritti degli eredi che, in casi analoghi, potranno richiedere il pagamento delle somme arretrate relative a periodi in cui l’ente previdenziale aveva negato la prestazione. Questo aspetto è particolarmente rilevante per garantire equità e giustizia in situazioni di grave disabilità.
L’evoluzione giurisprudenziale riflette una maggiore sensibilità verso le condizioni di vulnerabilità delle persone con disabilità e conferma l’importanza di un approccio non solo tecnico, ma anche umano nella valutazione dei diritti assistenziali.
