Congedo parentale: non un permesso flessibile, ma un dovere di cura (www.greenstyle.it)
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, ha chiarito in modo definitivo la natura e le finalità del congedo parentale.
La pronuncia ribadisce che questo istituto, regolato dall’articolo 32 del Decreto Legislativo n. 151/2001, non è un periodo libero da gestire a piacimento dal lavoratore, ma un diritto concesso esclusivamente per la cura e l’assistenza del figlio fino agli otto anni di età.
La Corte ha sottolineato con fermezza che qualsiasi attività lavorativa svolta durante il congedo parentale rappresenta un abuso del diritto, poiché tradisce la funzione essenziale di questa tutela. Nel caso che ha dato origine alla sentenza, un padre ha utilizzato il congedo per supportare la moglie nella gestione dello stabilimento balneare di famiglia, affidando il figlio di tre anni a nonni e baby-sitter anziché prendersi cura direttamente del bambino.
Questo comportamento ha portato il datore di lavoro a incaricare un’agenzia investigativa privata per verificare l’effettivo utilizzo del congedo. Le prove raccolte hanno dimostrato senza ombra di dubbio che il dipendente non si occupava del figlio durante i giorni di astensione, ma svolgeva attività lavorative estranee all’obiettivo del congedo.
L’uso legittimo di investigatori privati per accertare l’abuso
La Cassazione ha sancito che il datore di lavoro dispone della legittimità di controllare le modalità di fruizione del congedo parentale attraverso tutti i mezzi probatori previsti dalla legge, incluso il ricorso a detective privati. Tale attività di verifica è ammessa anche per i permessi legati alla Legge 104 e, in generale, per tutti i congedi riconosciuti dalla normativa sul lavoro.
La giurisprudenza italiana ha ormai consolidato l’orientamento secondo cui il licenziamento può essere giustificato in presenza di prove ottenute tramite investigazioni private, purché rispettino le norme sulla tutela della privacy e della dignità del lavoratore.

Lavoratore e difensori avevano tentato di mitigare la gravità delle contestazioni sostenendo che l’impegno improprio fosse limitato solo a cinque giorni su un totale di quarantasei di congedo fruiti. La Suprema Corte ha respinto categoricamente questa linea di difesa, affermando che anche un uso parziale del congedo per scopi diversi dalla cura diretta del figlio configura abuso del diritto.
I giudici hanno evidenziato come il problema non risieda nella quantità dei giorni in cui si è violata la finalità del congedo, ma nel fatto stesso di aver destinato tali periodi a motivazioni estranee alla protezione del rapporto genitore-figlio. Si tratta di un illecito grave, che viola non solo la natura stessa del congedo, ma anche i doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro e dell’INPS, ente che eroga l’indennità sostitutiva della retribuzione durante la fruizione del congedo.

La sentenza del 2025 si inserisce in un solido filone giurisprudenziale che dal 2018 condanna gli abusi del congedo parentale. Già nella sentenza n. 16207 del 2018, la Cassazione aveva sancito che utilizzare il congedo per lavorare altrove, come nel caso di un padre che aiutava la moglie in una pizzeria, è motivo legittimo di licenziamento.
Ulteriori sentenze, come la n. 2618 del 2025, hanno riaffermato che il congedo deve essere fruito in piena coerenza con la sua funzione fondamentale: garantire la presenza effettiva del genitore accanto al figlio nei primi anni di vita.
L’istituto del congedo parentale, infatti, si basa sul valore affettivo e relazionale insostituibile che ne giustifica l’astensione dal lavoro e il riconoscimento di un’indennità economica da parte dell’INPS. L’aiuto esterno, sia esso familiare come quello dei nonni o affidato a baby-sitter, non può mai sostituire la cura diretta del genitore, elemento imprescindibile per la tutela del minore e per il corretto esercizio del diritto.
Congedo parentale: aspetti normativi e indennità aggiornate
Il congedo parentale è un diritto riservato ai genitori lavoratori dipendenti, sancito dal D.lgs. n. 151/2001 e successive modifiche, che consente di astenersi dal lavoro per prendersi cura dei figli entro i primi dodici anni di vita, con alcune differenze per quanto riguarda la durata e l’indennizzo.
- La durata complessiva del congedo, tra entrambi i genitori, è di dieci mesi (undici se il padre si astiene per almeno tre mesi continuativi o frazionati).
- La madre e il padre possono usufruire individualmente di un massimo di sei mesi ciascuno, con possibilità di frazionare il periodo anche su base oraria.
- Per i genitori soli, il periodo massimo è di undici mesi.
L’indennità di congedo parentale è stata progressivamente aumentata negli ultimi anni: dalla copertura del 30% della retribuzione media giornaliera, è arrivata fino all’80% per determinati periodi, in particolare per un mese fruibile entro il sesto anno di vita del bambino o entro sei anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento.
Queste maggiorazioni si applicano ai lavoratori che hanno terminato il congedo di maternità o paternità dopo il 31 dicembre 2022, con ulteriori incrementi previsti anche nella legge di bilancio 2024 e 2025, sempre nel rispetto dei limiti temporali e reddituali previsti.
I periodi di congedo, sia indennizzati che non, sono coperti da contribuzione figurativa ai fini pensionistici, assicurando così la tutela previdenziale del genitore durante l’astensione dal lavoro.
