Rigassificatori: cosa sono e perché c’è chi non li vuole in Italia
Il tema dei rigassificatori è diventato di stretta attualità negli ultimi anni, come alternativa alle forniture di gas estero da zone di conflitto. Questi impianti permettono infatti la trasformazione del gas allo stato liquido, trasportato all'impianto da navi, a quello gassoso per l'immissione nella rete di distribuzione. Alcuni si oppongono a questa soluzione, però, poiché legata ai combustibili fossili.
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Il tema dei rigassificatori è tornato negli ultimi tempi di stretta attualità, complice anche la crisi energetica che ha colpito l’Europa anche in conseguenza al conflitto fra Russia e Ucraina. Eppure, quando si parla di soluzioni di stoccaggio del gas liquido per la sua trasformazione in gassoso, le discussioni sono sempre molto accese. Ad esempio, molti si oppongono alla loro implementazione sullo Stivale. Pertanto, cosa sono i rigassificatori e perché c’è chi non li vuole in Italia?
Quello della liquefazione e dello stoccaggio del gas naturale è un tema complesso che, oltre a implicazioni economiche e politiche, potrebbe averne anche dal punto di vista ambientale. Per questo, è fisiologico che le opinioni sui rigassificatori siano spesso contrapposte. Di seguito, qualche informazione util.e.
Rigassificatori: cosa sono
Con il termine rigassificatore si indica un impianto che perfette di trasformare un fluido in un gas, così come normalmente questa sostanza si trova in natura. Si tratta di una soluzione abbastanza diffusa per la gestione del gas naturale liquefatto (GNL) e la sua trasformazione allo stato gassoso, affinché possa essere impiegato nella comune rete di distribuzione urbana.
Semplificandone il funzionamento, il gas naturale liquefatto – ma anche altre sostanze, come il metano, l’etilene, l’ammoniaca e alcuni derivati del petrolio in forma liquida – viene trasportato al rigassificatore, di solito con l’ausilio di apposite navi. All’interno dell’impianto, sfruttando le alte temperature il liquido viene riportato allo stato gassoso, così come normalmente lo si trova in natura. Poiché in forma liquida il gas è spesso conservato a basse o bassissime temperature, nella maggior parte dei casi si sfruttano delle tubature riempite di acqua marina per la rigassificazione, poiché più calde. Questo spiega perché nella quasi totalità dei casi i rigassificatori vengono implementati lungo le coste marine.
In Italia sono attivi diversi impianti di rigassificazione: a Panigaglia (Liguria), a Porto Levante (Rovigo) e a Livorno, dove è presente una struttura galleggiante, a cui si aggiungono due nuovi progetti a Piombino e a Ravenna.
Rigassificatori e fabbisogno del gas naturale
Così come già accennato, i rigassificatori sono divenuti di recente di stretta attualità. Con la crisi energetica che ha colpito l’Europa, anche a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina, questi impianti sono stati considerati una possibile alternativa al taglio delle forniture dall’estero, per garantire al Paese una maggiore autonomia.
A oggi, i tre impianti principali – quello di Panigaglia, quello di Porto Levante e quello di Livorno – assicurano complessivamente una capacità di 15,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno. A questi, si potrebbero aggiungere altri 10 miliardi dagli impianti di Piombino e Ravenna. L’Italia ha un fabbisogno di gas naturale di circa 68 miliardi, quindi i rigassificatori potrebbero coprire dal 10 al 16% della quota di gas consumata sullo Stivale ogni anno.
Rigassificatori: perché alcuni non li vogliono in Italia
Perché, tuttavia, alcuni non vogliono rigassificatori in Italia? In linea generale, aiutando il fabbisogno energetico del Paese e riducendo le importazioni di gas naturale da nazioni a rischio, i rigassificatori rappresentano una risorsa utile. Tuttavia bisogna considerare l’impatto ambientale di questi impianti, così come il percorso verso la transizione energetica.
I problemi ambientali dei rigassificatori
Quando si parla di rigassificatori, bisogna sempre pensare alle questioni ambientali oltre che a quelle energetiche. Come tutte le strutture umane, anche questi impianti possono avere delle ripercussioni sugli habitat naturali:
- Distruzione di habitat naturali per la costruzione degli impianti, con conseguenze sulla biodiversità, in particolare quella lungo le coste del Paese;
- Emissione di sostanze inquinanti quando gli impianti sono in funzione, in particolare composti come il cloro che potrebbero essere scaricati nelle acque marine;
- Rischio di surriscaldare l’acqua marina nei pressi dell’impianto, con una conseguente alterazione della biodiversità locale;
- Aumentati rischi di incendio, in presenza di perdite di gas o nelle fasi di carico e scarico del gas naturale liquefatto.
La questione fonti fossili
Molti si oppongono alla costruzione di nuovi rigassificatori poiché, come facile intuire, il gas naturale è un combustibile fossile. In un’ottica di una transizione energetica verso tecnologie a basso impatto ambientale, come la produzione di energia tramite fonti rinnovabili, i combustibili fossili rappresentano un freno. Soprattutto se, come nel caso di un rigassificatore di nuova costruzione, la durata dell’attività di un impianto è stimata a più di 25 anni.
Per evitare che il Paese si vincoli nuovamente a fonti fossili, con tutto quello che ne consegue in termini di emissioni – e non solo di CO2, ma anche di ossidi di azoto – la scelta del rigassificatore è vista da molti come un’ostacolo a una piena transizione energetica ed elettrica basata su fonti rinnovabili.
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