Quanto costerà un calice di vino a causa dei dazi di Trump - Greenstyle.it
Quanto pagheremo per un calice di vino nei prossimi mesi? Come cambiano i prezzi a causa dei dazi imposti da Trump.
L’imposizione dei dazi statunitensi sul vino italiano continua a pesare come una spada di Damocle sul settore enologico nazionale, mettendo a rischio non solo le esportazioni ma anche la tenuta economica e occupazionale di un comparto strategico per l’Italia.
Dopo l’introduzione di un dazio del 15% sugli alcolici italiani verso gli Stati Uniti, il mercato si trova di fronte a una sfida complessa, che richiede un ripensamento profondo delle strategie commerciali e di marketing territoriale.
L’impatto dei dazi USA sul vino italiano: cifre e settori a rischio
Dal primo agosto 2023, le esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti sono soggette a un dazio del 15%, una misura che, sebbene inferiore al 30% inizialmente prospettato, rappresenta comunque un aggravio significativo rispetto alle tariffe quasi nulle precedenti. A sottolinearlo sono stati Lamberto Frescobladi, presidente dell’Unione Italiana Vini (UIV), e Paolo Castelletti, segretario generale della stessa associazione, che raggruppa oltre 800 aziende vitivinicole. Il 76% delle bottiglie esportate negli USA, pari a circa 366 milioni di pezzi, è ora soggetto a questo supplemento tariffario.
L’export verso il mercato americano vale per l’Italia oltre 1,8 miliardi di euro, il 23% del totale dell’export vinicolo, un valore superiore rispetto a Francia (20%) e Spagna (11%). Il rischio per l’industria è quindi notevole, soprattutto per i produttori di vini di fascia “popular”, che compongono l’80% della produzione italiana destinata all’estero e che si concretizzano in un prezzo medio franco cantina di circa 4,2 euro al litro. Tra le tipologie più esposte ai dazi figurano il Prosecco, con oltre 500 milioni di euro di export negli USA, il Pinot Grigio delle Venezie, il Chianti, il Montepulciano d’Abruzzo e il prestigioso Brunello di Montalcino.
Questi vini, che hanno conquistato il mercato americano grazie a un equilibrio tra qualità e prezzo accessibile, rischiano ora di perdere competitività rispetto ai concorrenti extraeuropei, come quelli cileni o australiani, che beneficiano di accordi commerciali più vantaggiosi. Di fronte a questa emergenza, però, emerge un invito a guardare oltre il pessimismo. Il settore vitivinicolo italiano, che conta circa 300.000 aziende e genera un fatturato annuo superiore a 14 miliardi di euro, con un indotto occupazionale stimato in oltre 1,3 milioni di persone, deve puntare a una trasformazione strategica.

Secondo una recente indagine di Nomisma Wine Monitor 2024, il 47% dei consumatori italiani preferisce vini prodotti nella propria regione, mentre il 63% valuta in modo decisivo l’origine territoriale e la tracciabilità del prodotto. Questa tendenza, in crescita anche in ambito europeo, indica che il valore della prossimità e dell’identità territoriale può diventare un importante volano per il settore.
Il rilancio passa quindi attraverso un marketing territoriale efficace, in grado di raccontare il vino non solo come prodotto, ma come parte integrante di un ecosistema culturale, ambientale e turistico. Un bicchiere di Verdicchio delle Marche, per esempio, non rappresenta solo un vino bianco di qualità, ma anche un’esperienza legata al paesaggio, alla storia e alla gastronomia locale.
Per rispondere alle nuove dinamiche internazionali, è necessario un impegno congiunto tra istituzioni e produttori. Le strategie devono includere investimenti in reti di distribuzione locali, promozione del turismo enogastronomico esperienziale, formazione degli operatori e sviluppo di strumenti digitali capaci di avvicinare produttore e consumatore. Le aree rurali italiane, spesso ricche di borghi e tradizioni, possono così trasformarsi in mete turistiche di rilievo, alternative alle grandi città d’arte, offrendo un contributo importante alla valorizzazione del vino e del Made in Italy.
Questo approccio può fornire nuova linfa soprattutto alle piccole e medie imprese, che costituiscono la spina dorsale della viticoltura italiana e che più di tutte rischiano di subire gli effetti negativi dei dazi. Con oltre 500 denominazioni di origine e altrettanti vitigni autoctoni, l’Italia dispone di un patrimonio enologico unico al mondo. Il settore deve quindi puntare su una maggiore resilienza e su un orgoglio identitario rinnovato. Il 15% di dazi, pur rappresentando una sfida, potrebbe diventare un’occasione per ripensare il modello industriale e commerciale del vino italiano, valorizzando la relazione con il territorio e il consumatore locale, e guardando con rinnovato interesse anche a mercati emergenti, come quelli orientali.
