Greenstyle Sostenibilità Energia Boom del gas naturale negli USA, ma mancano depositi per stoccarlo

Boom del gas naturale negli USA, ma mancano depositi per stoccarlo

I principali produttori americani di shale gas tirano il freno: il mercato è stato invaso dal gas. Che scende di prezzo e non si sa dove metterlo.

Boom del gas naturale negli USA, ma mancano depositi per stoccarlo

Il gas naturale di scisto, il cosiddetto “shale gas“, sta cambiando la prospettiva energetica degli Stati Uniti in maniera determinante tanto che gli USA, se continua così, potrebbero persino trovarsi nella condizione di dover cambiare la propria politica estera, notoriamente molto attenta ai giacimenti di idrocarburi del Medio Oriente.

La questione è semplice: da alcuni anni è in corso un vero e proprio boom, una corsa all’oro blu che ha come obbiettivo riempire il suolo americano di buchi in cerca di shale gas, da estrarre con la tecnica assolutamente controversa (e da molti geologi ritenuta pericolosissima) del fracking.

Il gas naturale nel sottosuolo americano c’è, ma è per così dire incastrato tra le rocce e va estratto riducendo la pietra in poltiglia grazie a nuove trivelle che iniettano acqua e solventi ad alta pressione. Il risultato dal punto di vista ambientale è il rischio molto forte di inquinare le falde acquifere e alterare l’equilibrio geologico intorno al pozzo. Dal punto di vista produttivo si ottiene l’estrazione del gas, che è presente in abbondanza sotto il suolo americano.

E dal punto di vista energetico? Che l’America non è preparata a questa invasione di gas domestico: non sanno più dove metterlo per stoccarlo. Le miniere di sale, i giacimenti di petrolio esauriti e le altre caverne sotterranee sono quasi tutti ancora pieni, anche a causa della scarsa domanda di gas durante l’ultimo inverno che è stato metereologicamente tiepido ed economicamente ghiacciato.

Così, dopo decenni di importazioni di gas e petrolio, gli Stati Uniti ne hanno troppo e devono ridurre la produzione domestica. Chesapeake Energy, ConocoPhillips ed Encana, tre tra i maggiori produttori di gas con pozzi nel territorio americano, hanno già annunciato uno stop alla produzione nel timore che i propri depositi si possano saturare già prima di questo autunno. Da ottobre a oggi il numero di pozzi di shale gas attivi è sceso del 30% e adesso sono 658.

I lavoratori sono stati spostati ai pozzi petroliferi che, con l’oro nero costantemente sopra i 100 dollari al barile, rende sempre fin troppo bene. Il prezzo del gas, attualmente a 2 dollari per mille metri cubi, potrebbe invece scendere a un dollaro anche prima.

La speranza che l’America imponga regole più stringenti sullo shale gas, che possano tutelare l’ambiente oltre che l’economia, è quindi sempre più un’illusione.

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