Misure restrittive per grandi morosi e contribuenti a rischio(fonte_Facebook:agenziadelleentrate)(www.greenstyle.it)
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha visto mutare in modo significativo il quadro normativo delle cartelle esattoriali prescritte.
Questa pronuncia rappresenta un punto di svolta per i contribuenti, chiamati a prestare particolare attenzione anche ai debiti fiscali che si credevano ormai estinti per prescrizione.
Le cartelle esattoriali costituiscono l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica ai contribuenti l’esistenza di un debito verso enti impositori. Esse riportano con precisione l’importo dovuto, le modalità di pagamento, le opzioni per la rateizzazione o la sospensione, nonché le modalità per presentare ricorso. Qualora il debito non venga saldato entro i termini stabiliti, l’ente di riscossione procede con un atto successivo, noto come intimazione di pagamento.
L’intimazione di pagamento è un avviso perentorio che viene inviato quando è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella e il debitore non ha adempiuto alla obbligazione. Questo atto rappresenta l’ultimo sollecito prima dell’avvio delle procedure esecutive, come il pignoramento. Formalmente, l’intimazione concede al contribuente un termine di cinque giorni per saldare il debito o per impugnare l’atto davanti al giudice competente.
La svolta della Cassazione: prescrizione e impugnazione obbligatoria
Con la sentenza n. 20476 del 2025, la Corte di Cassazione ha radicalmente cambiato l’interpretazione giuridica dell’intimazione di pagamento. In particolare, ha stabilito che questa non può più essere considerata un mero sollecito, bensì un vero e proprio atto che deve essere impugnato tempestivamente, anche se il debito sottostante è formalmente caduto in prescrizione.
La prescrizione, infatti, è quel termine oltre il quale il creditore non può più esigere il pagamento di un debito; tuttavia, la Cassazione precisa che se l’intimazione di pagamento non viene contestata entro i 60 giorni previsti dalla legge, il debito si “cristallizza”. Ciò significa che il debito diventa definitivo e può essere nuovamente richiesto, annullando di fatto la tutela offerta dalla prescrizione. In sostanza, la mancata impugnazione comporta la perdita di ogni possibilità di difesa del contribuente, con il rischio che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione possa esigere il pagamento anche di somme che si ritenevano legalmente estinte.

Questa nuova interpretazione giurisprudenziale ha un impatto diretto su tutti quei contribuenti che hanno ricevuto in passato una cartella esattoriale ora prescritta e che successivamente hanno ricevuto un’intimazione di pagamento, anche molti anni dopo la notifica originaria. Fino a oggi, era possibile non contestare l’intimazione e far valere la prescrizione in una fase successiva, ad esempio opponendosi a pignoramenti o altri atti esecutivi.
La Cassazione, invece, ha chiarito che questa condotta non è più percorribile: l’intimazione di pagamento deve essere impugnata immediatamente, pena la definitiva cristallizzazione del debito. Questo vale anche in presenza di vizi precedenti come la notifica a un indirizzo errato o la mancata notifica della cartella esattoriale, che vengono sanati dalla mancata azione del contribuente nei termini.
Il risultato è una vera e propria “sanatoria” per l’ente di riscossione, che può così recuperare somme anche laddove il diritto di esigere il pagamento sembrava estinto. Per il contribuente è quindi cruciale monitorare con attenzione ogni comunicazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione e, in caso di intimazione di pagamento, valutare tempestivamente l’eventualità di ricorrere al giudice tributario per evitare di perdere ogni tutela.
La sentenza ha inoltre posto fine a diversi orientamenti giurisprudenziali contrastanti, conferendo maggiore certezza al diritto ma aumentando l’onere di vigilanza e l’urgenza di intervenire per i contribuenti coinvolti.
