Greenstyle Sostenibilità Energia La fusione fredda è una “bufala”, intervista a Silvano Fuso

La fusione fredda è una “bufala”, intervista a Silvano Fuso

Intervista al professor Silvano Fuso che offre un punto di vista estremamente critico e scettico su Andrea Rossi e la fusione fredda.

La fusione fredda è una “bufala”, intervista a Silvano Fuso

Da tempo ormai parliamo nel nostro sito di fusione fredda. La controversa teoria – che vorrebbe possibili le LENR, reazioni nucleari a basse temperature – ha moltissimi alfieri sparsi nel mondo, con una concentrazione incredibilmente alta proprio qui in Italia. Spesso abbiamo intervistato questi ricercatori/inventori, chiedendo loro maggiori informazioni sulle loro teorie e soprattutto sui loro prototipi di reattore. Questi ultimi, infatti, promettono di diventare una fonte energetica a impatto ecologico 0 e prezzi contenutissimi. Una manna promessa e finora mai mantenuta. Per questo motivo non mancano anche gli scettici, coloro che sentono puzza di bruciato quando sentono parlare di tali argomenti.

Stavolta abbiamo voluto interrogare proprio uno di questi scettici e non il primo qualunque. Si tratta del professor Silvano Fuso, dottore di ricerca in Scienza Chimiche, celebre membro del CICAP (Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) e autore di un recente libro dal titolo “La falsa scienza“, in cui svela alcune delle più recenti bufale scientifiche. E fra di esse, potete giurarci, c’è la fusione fredda.

Leggi la nostra guida alla fusione fredda di Andea Rossi

Nel suo ultimo libro, La falsa scienza, si scaglia contro le bufale scientifiche, perché è importante secondo lei combatterle?

Le rispondo con un aneddoto personale. D’estate, quando sono in campagna, mi diletto a praticare un po’ di orticoltura amatoriale. Gran parte del lavoro lo dedico a estirpare le erbacce che sottrarrebbero luce, acqua e nutrimento alle giovani piantine che stanno crescendo. Ecco, qualcosa di simile avviene in ambito scientifico. Le bufale scientifiche danneggiano la scienza perché sottraggono tempo, energia e risorse alle vere ricerche. Inoltre creano aspettative illusorie che distolgono l’attenzione dai problemi reali. Procurano infine un grave danno culturale perché inducono molte persone a ritenere vere affermazioni che sono invece del tutto prive di fondamento. Questo spesso può avere conseguenze gravi: pensiamo ad esempio all’ambito medico, ma non solo.

Studiarle però è estremamente interessante e utile per comprendere meglio la stessa scienza e la psicologia dei ricercatori.

Nel 1989, Martin Fleischmann e Stanley Pons dichiararono di aver scoperto la possibilità di reazioni nucleari a bassa temperatura, coniando il termine fusione fredda. Per molti si tratta di una data memorabile, di una scoperta epocale, cui sarebbe seguito un interessato tentativo di mettere a tacere tutto da parte di un establishment accademico particolarmente ostile alle novità e, chissà, magari anche da parte delle grandi lobby del petrolio. Ci vuol raccontare questa storia dal suo punto di vista?

Alla vicenda della cosiddetta fusione fredda ho dedicato un capitolo del mio libro. La presunta scoperta di Pons e Fleischmann, annunciata con una conferenza stampa il 23 marzo del 1989, suscitò all’inizio una grande euforia, anche nel mondo scientifico e diversi gruppi di ricerca cercarono di riprodurre i risultati dei due chimici. L’entusiasmo però, all’interno della comunità scientifica, durò ben poco. Ai primi di maggio del 1989, a Baltimora, si riunirono in un congresso straordinario i fisici dell’American Physical Society (A.P.S.). Senza mezze parole, essi decretarono che in base a esperimenti di convalida condotti con grande impegno nei più importanti centri di ricerca americani, tra cui il MIT e il Caltech, le affermazioni di Fleischmann e Pons risultavano prive di fondamento. Oggi, a distanza di oltre vent’anni dal clamoroso annuncio, la netta maggioranza della comunità scientifica conferma la posizione dell’A.P.S. e ritiene che la fusione fredda sia stata un solenne abbaglio. Le teorie complottiste appaiono ben poco credibili. Se la fusione fredda fosse una realtà, rappresenterebbe essa stessa un colossale business. Appare francamente impossibile che, in tutto questo tempo, nessuno abbia ancora trovato il modo di sfruttarla economicamente. La storia insegna che ogni qual volta è stata ideata qualche innovazione tecnologica, ben presto qualcuno è riuscito a sfruttarla. La semplicità costruttiva e il basso costo delle celle elettrochimiche necessarie per realizzare la presunta fusione fredda dovrebbero rappresentare un boccone ghiotto per molte industrie private. Ciò nonostante, fino a oggi, non si è ancora visto in commercio alcun dispositivo funzionante che le sfrutti.

Da più di un anno ormai, la fusione fredda è tornata di moda, per merito (o colpa) di Andrea Rossi e del suo reattore a fusione fredda, denominato E-Cat. In molti sono scettici sul suo funzionamento, anche se l’ingegnere italiano conta sia appoggi accademici – il prof. Sergio Focardi su tutti – sia presunti clienti, rimasti comunque nell’ombra. Quanto possiamo ritenere credibili le sue dichiarazioni?

Vi sono importanti obiezioni teoriche alla possibilità di realizzare una reazione di fusione nucleare a bassa temperatura. Queste valevano per l’esperimento di Pons e Fleischmann e continuano a valere per la presunta invenzione di Andrea Rossi. Nel suo caso poi c’è un’altra forte obiezione teorica: le reazioni di fusione nucleare non possono essere catalizzate e la sua “straordinaria” scoperta consisterebbe invece proprio in questo (E-cat significa appunto catalizzatore di energia). Comunque, al di là della teoria, nella scienza contano i dati sperimentali. Se l’E-cat funzionasse davvero decadrebbero tutte le obiezioni teoriche e per la scienza si aprirebbero sicuramente nuovi orizzonti. Il problema è che, nonostante il grande clamore mediatico, fino a oggi non è stata fornita alcuna dimostrazione convincente del funzionamento dell’E-cat. Sicuramente il clima di segretezza (motivato da considerazioni brevettuali) mantenuto dallo stesso Rossi non giova a creare un sereno confronto scientifico che sarebbe assolutamente necessario su questioni così delicate ed eclatanti. La discussione dettagliata sarebbe lunga e richiederebbe di entrare in alcuni aspetti tecnici. Il CICAP, di cui faccio parte, si è occupato della questione e ha pubblicato diversi articoli sulla sua rivista Query. Per un approfondimento rimando quindi a questi articoli: Reattore E-Cat, posizione del CICAP e Sulla fusione fredda.

Infine, anche per la presunta invenzione di Andrea Rossi, vale l’obiezione espressa prima riguardo alle sue applicazioni pratiche. Rossi ha annunciato ripetutamente la messa in commercio del suo dispositivo e addirittura l’attivazione di centrali elettriche che sfrutterebbero la sua invenzione. Ogni volta però ne ha posticipato la data. A oggi non risulta che vi sia alcuna applicazione pratica significativa del suo E-cat. Questo non può che indurre ulteriormente un sano scetticismo. In ogni caso, se i fatti smentiranno gli scettici, sarà un’ottima notizia per tutti. Una fonte di energia così straordinaria non può che essere benvenuta.

Ha seguito, invece, i lavori di Francesco Celani e Francesco Piantelli – quest’ultimo ha da poco ottenuto un brevetto? Cosa ne pensa?

Francesco Celani, rifacendosi a un’idea di Francesco Piantelli del 1990, ha realizzato un dispositivo che produrrebbe anch’esso LENR (cioè Low Energy Nuclear Reactions, cioè “reazioni nucleari a bassa energia”). La differenza sostanziale rispetto all’esperimento originale di Pons e Fleischmann consiste nel fatto che Celani utilizza idrogeno o deuterio gassoso e non in soluzione elettrolitica. Celani inoltre utilizza un particolare elettrodo di nickel e altri metalli.

Per il dispositivo di Celani valgono obiezioni analoghe a quelle precedenti. In particolare non vi è stata finora alcuna conferma indipendente del suo reale funzionamento.

Il fatto che Piantelli abbia recentemente ottenuto un brevetto non significa nulla. Un brevetto tutela infatti la semplice proprietà intellettuale di un’idea, ma non garantisce affatto che tale idea funzioni. Si tratta, in altre parole, di una tutela legale e non di un riconoscimento scientifico. Vi sono numerosi dispositivi brevettati che non hanno mai funzionato.

Leggi anche “Approvato brevetto a Francesco Piantelli”

Meno nota è forse la storia del team guidato da Ugo Abundo, che avrebbe costruito un primo reattore LENR all’interno di un progetto scolastico (e con l’aiuto di alcuni studenti), per poi continuare autonomamente. In rete si trovano video sul funzionamento di questi prototipi e il progetto si professa opensource, quindi del tutto trasparente e aperto ai contributi esterni. Qual è la sua valutazione in merito?

Ugo Abundo è un professore di fisica di un istituito tecnico romano. All’interno di un’iniziativa didattica ha realizzato una cella elettrolitica che utilizza un particolare catodo a polveri di tungsteno. Secondo alcune misure da lui effettuate, il confronto tra l’energia in entrata e quella in uscita farebbe concludere che all’interno della cella avverrebbero delle reazioni nucleari. Anche in questo caso lo scetticismo è d’obbligo per gli stessi motivi illustrati prima. Occorre tuttavia notare che lo stesso Abundo è stato abbastanza prudente nelle sue affermazioni e l’idea di operare in open source può essere utile per correggere errori ed evidenziare eventuali abbagli. Nei video pubblicati in rete da Abundo vengono coinvolti anche i suoi studenti. In essi vi sono tuttavia diverse affermazioni che generano perplessità e che inducono quindi ulteriore prudenza. Anche la teoria che Abundo ha elaborato insieme a Francesco Santandrea per spiegare il meccanismo delle presunte LENR (Quantum Space Theory) ha suscitato diverse obiezioni da parte dei fisici e dei chimici nucleari che l’hanno esaminata.

Leggi anche la nostra intervista a Ugo Abundo

Non molto tempo fa, nel giugno 2012, scoppiò in Italia la grana piezonucleare all’interno dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim), con una lettera firmata da diversi professori atta a fermare lo “scandaloso” finanziamento alle ricerche del prof. Carpinteri (ed altri) sul campo di queste particolari reazioni nucleari. Carpinteri non ha però demorso ed, anzi, ha lasciato intendere che le ricerche sul piezonucleare – la possibilità di ottenere delle reazioni nucleari sulla base, sostanzialmente, di sollecitazioni di tipo meccanico – siano la chiave di volta per comprendere meglio i fenomeni LENR. Lei è in qualche modo al corrente di cosa sia davvero successo all’interno dell’Inrim? E, soprattutto, anche nel caso dei lavori di Carpinteri si sente di dire che non hanno fondamento scientifico?

Anche alla presunta scoperta di Alberto Carpinteri ho dedicato un capitolo del mio libro La falsa scienza. In estrema sintesi si può dire che la comunità scientifica ritiene che le ipotetiche reazioni piezonucleari di Carpinteri, e del suo collaboratore Fabio Cardone, violerebbero alcuni principi fisici conosciuti, a cominciare dal principio di conservazione dell’energia. Inoltre, un’analisi accurata degli articoli pubblicati dai due ricercatori ha messo in evidenza vistose incongruenze e vari errori metodologici che rendono del tutto inaccettabili i risultati che sostengono di aver ottenuto (che nessuno peraltro è mai riuscito a riprodurre). Da qui è nata un’energica presa di posizione da parte di molti esponenti del mondo scientifico affinché il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca non concedesse ulteriori finanziamenti ai due ricercatori per proseguire i loro studi. Oltre 1000 fisici hanno infatti sottoscritto un appello in tal senso al ministro Francesco Profumo. L’11 giugno 2012 il ministro ha pubblicamente dichiarato di non aver alcuna intenzione di finanziare le ricerche di Carpinteri e Cardone, vista la totale mancanza di consenso sui risultati ottenuti all’interno della comunità scientifica. A mio parere si è trattata di una decisione saggia.

La ringraziamo per il tempo dedicatoci e chiudiamo con un’ultima domanda. Secondo lei: parlando di energia e in special modo di energia pulita, quali sono i campi della ricerca da cui possiamo aspettarci progressi davvero significativi, per quanto poco questi ultimi siano alla fine prevedibili?

L’espressione “energia pulita” secondo me è fuorviante perché non esiste alcuna fonte energetica che sia veramente pulita. I pasti gratis a questo mondo purtroppo non esistono. Ogni volta che effettuiamo una scelta, inevitabilmente vi sono vantaggi e svantaggi. La maniera razionale di compiere delle scelte consiste quindi nel fare un accurato bilancio benefici/costi. Occorre inoltre aver ben chiaro che la disponibilità di energia è fondamentale per fare qualsiasi cosa. Vi sono interessantissimi studi che mostrano chiaramente come il consumo di energia sia direttamente correlato con alcuni significativi parametri legati alla qualità della vita quali l’aspettativa di vita alla nascita (che aumenta parallelamente ai consumi energetici), la mortalità infantile e l’analfabetismo (che invece diminuiscono). Quindi quando si parla di fonti energetiche è necessario confrontare costi e rischi con l’inevitabile abbassamento della qualità della vita che una diminuzione della disponibilità energetica comporterebbe.

Detto questo, non è per niente facile rispondere alla sua domanda. Qualcuno ha detto che fare previsioni è particolarmente difficile soprattutto se…riguardano il futuro! Questo vale a maggior ragione in campo scientifico. Dove a volte, in maniera del tutto inaspettata, vengono fatte straordinarie scoperte che nessuno aveva minimamente previsto. La fusione nucleare (ahimè, a quanto pare inevitabilmente calda) è sicuramente un obiettivo che vale la pena perseguire. Le stime più ottimiste parlano però di almeno alcuni decenni prima di poterla sfruttare in modo vantaggioso. Nel frattempo, in attesa di eventuali scoperte inattese, penso convenga differenziare le fonti energetiche, con un opportuno mix, senza escludere l’attuale nucleare da fissione che, a mio parere, è stato eccessivamente e ingiustamente demonizzato negli ultimi decenni.

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