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Emissioni di CO2: quanto inquina Internet?

Emissioni di CO2, dallo streaming alle criptovalute anche Internet inquina: le server farm sono infatti molto avide di energia.

Emissioni di CO2: quanto inquina Internet?

Fonte immagine: Pixabay

La pandemia di Coronavirus ha reso ben evidente quanto Internet sia indispensabile nelle nostre esistenze. Le nuove tecnologie hanno infatti permesso a chiunque di tenersi in contatto con amici e parenti, anche nei lunghi periodi di isolamento, aiutato il tracciamento dei malati e fornito informazioni utili per proteggersi dal contagio. Ancora, sono state irrinunciabili per continuare a lavorare e apprendere, con smart working e didattica a distanza. Ma quanto inquina Internet? Quanto in relazione alle emissioni di CO2?

A provare a rispondere a questa domanda è la Dataroom del Corriere della Sera, con l’aiuto di Milena Gabanelli: anche il web inquina, con un peso sulle emissioni di CO2 in crescita.

CO2 ed energia per il Web

Qualsiasi tecnologia che si avvale della rete, si tratti di un laptop oppure di una server farm, ha bisogno di consumare energia per il suo funzionamento. Nel 2008, l’insieme di tutte le tecnologie digitali dell’universo IT pesava al 2% sulle emissioni globali di CO2 derivate dalla produzione di energia elettrica. Oggi hanno raggiunto il 3,7% globali e, secondo recenti stime, potrebbero sfiorare l’8.5% entro il 2025. Addirittura, lo studio Assessing ICT Global Emissions Footprint prevede una crescita dino al 14% entro il 2040.

In altre parole, tutta la rete di server, computer e dispositivi sparsi per il mondo produce tanta anidride carbonica quanto l’ammontare complessivo di una nazione mondiale di medio-grandi dimensioni.

Il problema non viene però spesso percepito dagli utenti, anche perché non è facile accorgersi del consumo dei dispositivi informativi. Mentre un frigorifero di classe C+ consuma in un anno fino a 190 kWh, e la spesa è quindi ben identificabile in bolletta, ricaricare per 365 giorni uno smartphone non richiede più di 4 kWh. Eppure ci si dimentica come, oltre alla carica del dispositivo, si produca CO2 per i servizi connessi allo smartphone, dall’hosting dei siti web alle server farm per salvare video, immagini, applicazioni e molto altro.

Emissioni di CO2: dallo streaming alle criptovalute

Le abitudini quotidiane, così come già accennato, non rendono immediatamente visibile il consumo effettivo delle tecnologie Internet. Guardare 10 minuti di un filmato in altissima definizione, per quanto un consumo minimo della batteria di un dispositivo, genera lato server la stessa quantità di CO2 di un forno elettrico da 2.000W acceso per tre minuti.

Un fatto che dovrebbe sollevare una certa attenzione, così come spiega The Shift Project, data la pervasività dei servizi di streaming nella nostra esistenza. In prospettiva, un video in streaming richiede circa 1.500 volte l’energia in più lato server rispetto a quella usata dallo smartphone per visualizzarlo. Solo in Italia nel 2020 si sono visti 6.5 milioni di ore di contenuti in streaming l’anno.

Non va meglio per l’intelligenza artificiale, come i vari assistenti vocali di cui tutti i marchi si sono dotati, che per le operazioni di machine learning possono produrre anche 284 tonnellate di CO2 ogni anno, secondo l’Università Amherst del Massachusetts. E l’esplosione delle criptovalute aumenta ulteriormente questo dato, difficile da calcolare poiché spesso i server che gestiscono Bitcoin o valute analoghe sono geograficamente localizzati in Paesi dove non ne vengono effettivamente registrate le operazioni né i precisi consumi.

Negli ultimi tempi, Greenpeace ha valutato il peso dell’energia consumata dai big dell’informatica, per alimentare i loro datacenter. Apple è la società più verde, con energia pulita per più dell’83% delle rilevazioni, a cui seguono Facebook al 67%, Google al 56%, Microsoft al 32%, Adobe al 23% e Oracle all’8%.

Appare quindi evidente come sia necessario “decarbonizzare il digitale”, con misure che impongano ai big dell’informatica di far ricorso a energie rinnovabili e, dove possibile, a impegnarsi nella completa compensazione della CO2 prodotta.

Fonte: Corriere della Sera

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