Recupero acque piovane
Il recupero delle acque piovane è entrato, ormai da qualche anno a questa parte, nelle buone pratiche di sostenibilità ambientale. Con la morsa dei cambiamenti climatici, periodi di siccità sempre più intensi e una possibile riduzione dell’acqua dolce disponibile, è quanto mai indispensabile risparmiare e recuperare quanta più acqua possibile. Ma quali sono le normative in vigore per il recupero dell’acqua piovana e, soprattutto, come funzionano gli impianti di raccolta?
Quella del recupero dell’acqua piovana è una pratica che può svilupparsi su più livelli, dai semplici ritrovati casalinghi per l’irrigazione dell’orto fino a veri e propri impianti di tipo industriale. Di seguito, qualche informazione utile.
Per recupero delle acque piovane si intende l’insieme di pratiche e tecnologie volte al riutilizzo delle cosiddette acque meteoriche, ovvero quelle che cadono o sgorgano al suolo a seguito di fenomeni atmosferici. In parole più semplici, tramite appositi serbatoi si raccolgono le piogge, per poi impiegare l’acqua recuperata per l’irrigazione dei campi, la pulizia delle superfici, la gestione degli scarichi sanitari e altre necessità ancora.
La tendenza al recupero delle acque piovane ha trovato piede soprattutto negli ultimi anni, come risposta sostenibile sia ai cambiamenti climatici che come buona pratica per il risparmio idrico. In particolare, con periodi di siccità sempre più intensi, il ricorso alle acque piovane per l’irrigazione e altre finalità non igieniche o alimentari permette di risparmiare grandi quantità di acqua potabile.
Come già accennato, recuperare le acque meteoriche è possibile su più livelli, sia a livello domestico che industriale, a seconda delle normative vigenti.
Prima di entrare nel dettaglio normativo e pratico del recupero delle acque piovane, è utile parlare dei vantaggi di questa pratica sostenibile. I benefici di tecnologie sempre più diffuse di raccolta dell’acqua meteorica, infatti, non comprendono solo il risparmio idrico:
A livello italiano, la gestione del recupero dell’acqua piovana è gestito perlopiù a livello regionale, così come stabilito dalla “Legge quadro per il riordino del regime di utilizzazione delle acque pubbliche” del 1991, che conferisce proprio alle Regioni il potere di regolamentare il riutilizzo delle acque piovane. A questa legge seguono altri interventi normativi, come il Decreto Legislativo 152 del 1999 e il Decreto Legislativo 152 del 2006, dove viene specificato che le Regioni, al fine di prevenire rischi idraulici e ambientali, definiscono:
Verificate, quindi, le varie disposizioni a livello regionale, per la costruzione degli impianti – sia domestici che industriali – il riferimento è quello al Testo Unico per l’Edilizia. Quest’ultimo è stato aggiornato nel corso del 2023, per effetto del Decreto Siccità, per permettere l’installazione di vasche di raccolta dell’acqua piovana fino a 50 metri cubi senza la necessità di ottenere specifici permessi.
Proprio poiché la questione è gestita perlopiù a livello regionale, prima di procedere al recupero delle acque meteoriche è necessario informarsi adeguatamente, per verificare la necessità di ottenere autorizzazioni specifiche. In linea generale, vi sono alcuni principi che sono validi pressoché ovunque:
Ancora, è utile anche segnalare la norma UNI/TS 11445, del 2012, che definisce gli standard tecnici per gli impianti di raccolta e utilizzo dell’acqua piovana, in termini di progettazione, installazione e manutenzione.
Come facile intuire, la raccolta e il riutilizzo delle acque piovane può avvenire nei più svariati modi e non tutti richiedono un preciso intervento normativo. È, ad esempio, il caso delle piccole soluzioni fai da te per recuperare acqua da destinare alla cura del giardino, che solitamente non richiedono autorizzazioni specifiche. Di seguito, le tipologie di impianti più comuni.
Il modo più elementare e veloce per recuperare l’acqua piovana a livello domestico è, come facile intuire, quello di affidarsi di piccole soluzioni fai da te. Ad esempio, molti predispongono in giardino delle botti di legno o di plastica, per raccogliere l’acqua delle precipitazioni allo scopo di annaffiare l’orto o le piante in giardino.
Queste soluzioni non richiedono autorizzazioni specifiche, date le loro piccole dimensioni e l’assenza di strutture elaborate o cisterne, e sono molto facili da realizzare. Basta appunto recuperare un bidone o una botte, prevedere sull’apertura una copertura in rete dalle maglie strette per evitare l’accumulo di foglie o altri detriti e attendere che la natura faccia il resto.
A un livello superiore vi sono gli impianti domestici di raccolta, soluzioni ovvero più elaborate che, a seconda delle regioni, potrebbero appunto richiedere specifiche autorizzazioni. Nella pratica, si tratta di installare appositi serbatoi di raccolta e un piccolo sistema di distribuzione, sempre per l’uso non potabile di queste acque.
Le più comuni tipologie d’impianto si distinguono in:
Le capacità, a seconda delle soluzioni presenti sul mercato, possono arrivare anche a 5.000 litri totali di acque raccolte. Come precedentemente specificato, per effetto del Decreto Siccità, le vasche di raccolta inferiori ai 50 metri cubi e destinate all’uso agricolo non richiedono particolari autorizzazioni.
Infine, a livello industriale oppure pubblico, possono essere previsti impianti di notevoli dimensioni, per la raccolta sia delle acque piovane che di dilavamento. Questi, ovviamente soggetti ad autorizzazioni date le dimensioni e il possibile impatto ambientale, possono comprendere:
Anche in questo caso, l’uso rimane strettamente destinato a consumi non potabili, come l’irrigazione, la pulizia delle strade o necessità varie a livello industriale.