Centrali nucleari

Le centrali nucleari permettono di produrre elettricità sfruttando l’energia sprigionata dalle reazioni nucleari. Sono nate negli anni ’50 dopo la scoperta della fissione nucleare, che inizialmente è stata utilizzata con finalità belliche– per costruire la bomba atomica – e poi è stata convertita alla produzione di energia per uso civile.

Le potenzialità dell’energia nucleare sono enormi, soprattutto per risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico dovuto alla scarsità di fonti fossili e all’ancora ridotta diffusione delle energie rinnovabili. Ma sono tanti anche i rischi delle centrali nucleari a fissione, legati sia alla sicurezza degli impianti, sia allo smaltimento delle scorie radioattive. Per questo si stanno cercando delle modalità più sicure e meno inquinanti per produrre energia, come le centrali a fusione nucleare, attualmente in fase di sperimentazione.

Facciamo il punto sulle centrali nucleari e su come funzionano, scopriamo le differenze, i vantaggi e gli svantaggi delle centrali nucleari a fissione e di quelle a fusione e approfondiamo gli utilizzi, i benefici, i rischi, i progetti di ricerca sul nucleare nel mondo.

Cosa sono le centrali nucleari e a cosa servono

Le centrali nucleari sono impianti in cui si produce energia elettrica sfruttando l’energia generata da reazioni nucleari. Al posto dei combustibili fossili, come petrolio e carbone, si utilizzano gli atomi, di solito di uranio o plutonio, che all’interno del reattore nucleare subiscono delle trasformazioni che portano al rilascio di energia, poi convertita in elettricità.

La storia dell’energia nucleare

Fu lo scienziato Albert Einstein, agli inizi del Novecento, a intuire che l’atomo potesse essere una fonte di energia mentre poneva le basi della sua teoria della relatività. Quella scoperta dette impulso alla ricerca sull’energia nucleare che, nell’arco di pochi decenni, trasformò l’intuizione di Einstein in realtà. Il merito è anche di uno scienziato italiano, Enrico Fermi, che nel 1934 bombardò l’uranio con alcuni neutroni mettendo a punto, anche se in modo inconsapevole, la prima fissione nucleare. Questo processo fu ufficialmente scoperto nel 1938 da Otto Hahn e Fritz Strassmann con il celebre esperimento di “frazionamento radio-bario-mesotorio”.

Pochi anni dopo, nel 1942, fu ancora Fermi, a Chicago, a realizzare una “pila atomica” con reazione a catena controllata: si trattava del primo reattore a fissione nucleare della storia. Inizialmente la tecnologia nucleare fu impiegata esclusivamente come arma bellica: gli USA la utilizzarono per costruire la prima bomba atomica, sganciata su Hiroshima il 6 agosto del 1945. Ma, finita la guerra, venne promosso l’impiego dell’energia nucleare a scopo unicamente pacifico, per la produzione dell’energia elettrica ad usi civili.

Quando nacquero le centrali nucleari? Nel 1954, nella cittadina russa di Obninsk, fu realizzato il primo impianto nucleare in grado di generare elettricità, mentre due anni dopo a Sallafield, in Inghilterra, entrò in funzione la prima vera e propria centrale atomica basata sulla fissione nucleare. Gli anni ’50, in Italia come nel mondo, furono quelli del boom per l’energia nucleare. Tuttavia, nei decenni successivi, gli scenari cambiarono, complici anche due disastri nucleari che accesero i riflettori sui pericoli del nucleare: l’incidente alla centrale di Chernobyl, nel 1986, e quello di Fukushima, nel 2011.

Insieme alle questioni di sicurezza, l’altra problematica che nel tempo ha reso lo sfruttamento dell’energia nucleare sempre più controverso è la difficoltà di smaltimento delle scorie radioattive che derivano dalla fissione. Questi scarti mantengono un elevato grado di radioattività per tempi lunghissimi e non possono essere distrutti, ma devono essere stoccati in luoghi adatti perché non entrino in contatto con l’uomo e con l’ambiente.

Per questo, dopo il picco del dopoguerra, l’energia nucleare ha vissuto alterne vicende, diverse da paese a paese. L’Italia, con un referendum popolare (1987), ha deciso di interrompere l’avventura nucleare, altri paesi hanno invece scelto di non abbandonare questa strada.

Quella che non si è fermata è la ricerca nel campo dell’energia nucleare da fissione, per migliorare gli standard di sicurezza e la sostenibilità del ciclo di produzione riducendo le scorie. E’ questo l’obiettivo dei reattori di quarta generazione in corso di progettazione. Ma c’è anche un’altra strada, le centrali nucleari a fusione, attualmente in fase di sperimentazione con un obiettivo ambizioso: “copiare” il Sole per produrre energia pulita, senza scorie e potenzialmente illimitata.

Le tipologie di centrali nucleari

Le centrali nucleari a fissione

Le centrali nucleari attualmente in funzione nel mondo producono energia attraverso la fissione nucleare.

Come spiega l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile),

“la fissione nucleare è un processo di disintegrazione durante il quale nuclei pesanti, come quelli dell’uranio e del plutonio, bombardati con neutroni si dividono in due frammenti, entrambi di carica positiva, che si respingono con violenza allontanandosi con elevata energia cinetica”.

Nelle centrali nucleari, questa energia viene convertita, attraverso una serie di meccanismi, in energia elettrica.

Come funziona una centrale nucleare a fissione

Il cuore delle centrali nucleari è il reattore: è nella sua parte interna, il cosiddetto nocciolo (core), che avviene la fissione nucleare. Gli atomi, in genere uranio o plutonio, urtati da un neutrone si dividono in due frammenti e rilasciano energia. Questa energia cinetica si trasforma in energia termica, cioè in calore, utile per produrre vapore con cui alimentare una turbina collegata a un alternatore e ricavare così energia elettrica. La fissione si definisce “reazione a catena” perché da ogni nucleo, oltre all’energia, si liberano almeno due neutroni, che possono innescare nuove reazioni in un processo a cascata.

All’interno del nocciolo, il combustibile è presente sotto forma di barre, o di pastiglie, immerse in una sostanza che agisce da moderatore e rallenta i neutroni responsabili della reazione: in genere si utilizzano grafite e acqua, meglio se acqua pesante, cioè formata non da idrogeno e ossigeno ma da deuterio (isotopo dell’idrogeno con massa atomica doppia) e ossigeno.

A differenza di quanto accade in una bomba atomica, dove la reazione a catena diventa incontrollata fino all’esplosione distruttiva, una centrale nucleare è dotata di dispositivi che regolano il processo e garantiscono un rilascio di energia costante nel tempo.
In particolare, esistono sistemi di regolazione che fanno in modo che il numero di neutroni presenti in ogni momento nel nocciolo resti costante, per controllare le reazioni ed evitare rischi. Di solito, a questo scopo sono impiegate barre di cadmio (o argento, o carburi di silicio) che vengono abbassate all’interno del nocciolo per assorbire i neutroni in eccesso e rallentare la reazione quando necessario.

I vantaggi della fissione nucleare

Il meccanismo delle centrali nucleari a fissione è analogo a quello delle convenzionali centrali termoelettriche a combustibile fossile, ma per produrre lo stesso quantitativo di energia serve molta meno materia: la fissione di un grammo di uranio produce una quantità di energia pari a quella che è possibile ottenere dalla combustione di circa 2800 kg di carbone. Questo può rappresentare una soluzione al problema della scarsità dei combustibili fossili, una fonte di energia soggetta a esaurirsi.

Il problema della sicurezza e delle scorie radioattive

A questo grande vantaggio fa da contraltare un grande inconveniente: le scorie nucleari, ovvero il prodotto di scarto della fissione, sono radioattive, quindi nocive sia per l’ambiente che per la salute dell’uomo. Da qui nasce l’enorme problema del loro immagazzinamento: per ridurre il pericolo di contaminazione, infatti, le scorie nucleari, cosiddette di lunga vita perché possono continuare a emettere radiazioni anche per migliaia di anni, devono essere stoccate in speciali depositi.

L’altra grande criticità è legata alla sicurezza degli impianti nucleari. Un esempio: le barre di cadmio che devono assorbire i neutroni in eccesso hanno bisogno di energia per entrare in funzione, quindi in caso di guasto potrebbero non attivarsi.

Una problematica messa in evidenza con forza due dei più drammatici disastri nucleari della storia, quello di Chernobyl e quello di Fukushima, che hanno acceso i riflettori sul tema dell’affidabilità degli impianti nucleari e sulle devastanti conseguenze delle scorie radioattive sulla salute e sull’ambiente. Entrambi questi incidenti, per la loro gravità, sono stati classificati al livello più alto (il settimo) dell’International Nuclear and radiological Event Scale (Ines).

Il disastro di Chernobyl avvenne la notte del 26 aprile 1986 presso la centrale nucleare di Chernobyl, in quella che allora era la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Qui, durante un test di sicurezza sul reattore nucleare RBMK n. 4, si innescò una reazione a catena che causò un’enorme esplosione. Per giorni, la zona intorno alla centrale fu avvolta da una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscito dal reattore. I tentativi di sigillarlo con misure di emergenza per bloccare l’emissione radioattiva fallirono e oltre 300mila persone dovettero essere evacuate dall’area contaminata.

Nell’arco di pochi giorni, le nubi radioattive raggiunsero l’Europa orientale e arrivarono a toccare, con livelli più bassi di radioattività, anche Italia, Francia, Germania e persino la costa est del Nord America. A distanza di 35 anni, resta difficile fare una stima reale del numero di vittime di questo disastro, soprattutto dei decessi collaterali dovuti a tumori, specie alla tiroide, che hanno colpito le popolazioni esposte alle radiazioni, in particolare i bambini. E la notizia del “risveglio” del reattore n. 4 torna a destare preoccupazione. Se vuoi approfondirla, leggi l’articolo di GreenStyle “Chernobyl, il reattore nucleare si è riattivato”.

La centrale nucleare Fukushima, nota come Fukushima Dai-ichi, in Giappone, fu seriamente danneggiata da un incidente nucleare, conseguenza del terremoto e maremoto che si sono abbattuti sulla regione del Tōhoku nel marzo del 2011. L’incidente provocò diverse esplosioni, causate dalla perdita di controllo dei tre reattori attivi al momento del terremoto, dovuta alla messa fuori uso dei sistemi di raffreddamento. La dispersione di grandi quantità di materiale radioattivo rese necessaria l’evacuazione della popolazione della zona in un raggio di 30 km.

Le centrali nucleari a fusione

Esiste un’alternativa a questo processo di produzione di energia – per il momento soltanto teorica, anche se già in fase di sperimentazione -. E’ la fusione nucleare, che si basa sul processo inverso rispetto alla fissione. Invece che rompendo un nucleo pesante, l’energia viene prodotta fondendo tra loro due nuclei leggeri, per esempio due nuclei di idrogeno, e ottenendo così un nuovo nucleo.

Secondo la definizione del Ministero della Transizione Ecologica,

“la fusione è la reazione nucleare che avviene nel Sole e nelle altre stelle, con produzione di una enorme quantità di energia: due nuclei di elementi leggeri, quali deuterio e trizio (due isotopi dell’idrogeno, ndr), a temperature e pressioni elevate, fondono formando nuclei di elementi più pesanti come l’elio, con emissione di grandi quantità di energia”.

Come funzionano le centrali nucleari a fusione

In un centrale nucleare a fusione, per produrre energia i nuclei degli atomi devono avvicinarsi fino a fondersi. Ma, a causa della loro carica positiva, di norma fanno esattamente l’opposto, cioè si respingono. Come vincere questa naturale tendenza dei nuclei ad allontanarsi? E’ su questo che i ricercatori stanno lavorando per realizzare la prima centrale nucleare a fusione.

La soluzione che è stata individuata è quella di replicare il meccanismo di produzione di energia che caratterizza il Sole. Qui, la reazione di fusione dei nuclei di idrogeno avviene a una temperatura interna di 14 milioni di gradi: il plasma di idrogeno (un agglomerato di particelle che vorticano a temperature elevatissime) viene confinato in uno spazio limitato ad opera delle enormi forze gravitazionali in gioco. Si produce così gran parte dell’energia che arriva sulla Terra sotto forma di calore e di luce.

Una centrale nucleare a fusione è un impianto che, per produrre energia, deve riuscire a ricreare le stesse condizioni che si verificano nel nucleo del Sole. I nuclei degli atomi, infatti, che per natura si respingono, possono fondersi solo se la distanza tra loro è breve, quindi lo spazio in cui si muovono deve essere molto ridotto. Ma perché la fusione avvenga è anche necessario che la velocità con cui si urtano sia molto alta: questo significa che la loro energia cinetica (quindi la temperatura) deve essere molto elevata.

Replicare in laboratorio questo processo, che nel Sole avviene naturalmente, richiede sforzi tecnologici ed economici enormi: è proprio questa la sfida con cui i ricercatori si stanno cimentando. Una sfida che presenta enormi difficoltà.

Criticità

Produrre energia in una centrale a fusione nucleare significa superare essenzialmente tre ostacoli.

  •  Il confinamento del plasma: per ottenere in laboratorio reazioni di fusione è necessario riscaldare un plasma di deuterio e trizio a temperature elevatissime (100 milioni di gradi) per tempi sufficientemente lunghi e in uno spazio molto ridotto. Ma in quale “contenitore”? Nessun materiale, all’interno della camera del reattore, è in grado di sopportare temperature così alte, quindi è necessario fare in modo che questo plasma incandescente non entri mai a contatto con le pareti del recipiente che lo contiene, altrimenti lo fonderebbe. Bisogna cioè confinarlo, esattamente come avviene nel Sole. La soluzione che i ricercatori stanno sperimentando punta proprio a “copiare” ciò che succede nel Sole, cioè a realizzare un confinamento magnetico che tenga le particelle alla giusta distanza dalle pareti del reattore.
  • L’ignizione: sembra un paradosso, ma non lo è. Per produrre energia attraverso la fusione, serve energia per innescare la reazione, quindi è necessario progettare e realizzare un insieme di dispositivi che permettano di scaldare il plasma e avviare il processo di fusione. Anche su questo aspetto sono in corso sperimentazioni.
  • Il guadagno energetico: una volta che la fusione è stata innescata, è essenziale che si autosostenga, ovvero che si mantenga senza bisogno di ulteriore apporto di energia esterna. Il bilancio energetico della fusione deve, cioè, essere positivo. Questo vuol dire che la reazione non deve solo rilasciare energia, ma deve anche liberarne in quantità adeguate a compensare sia le perdite, sia l’energia usata per scaldare il plasma.

Vantaggi

Il grande vantaggio di sfruttare la fusione nucleare per la produzione di energia è che non ha inconvenienti, perché il prodotto di questa reazione non emette radiazioni. Si tratta quindi di un’energia pulita, non nociva per l’ambiente né per l’uomo.

I reattori nucleari

Reattori nucleari a fissione

Il reattore nucleare, come abbiamo visto, è il cuore pulsante della centrale nucleare. Il primo reattore nucleare fu costruito nel 1942 a Chicago da Enrico Fermi, che lo chiamò “pila atomica”. Negli anni 1955-56, finita la stagione del nucleare a fini bellici, furono costruiti i primi reattori per la produzione di energia elettrica ad uso civile.

Nel corso degli anni, i reattori nucleari sono stati al centro di un costante processo di sviluppo che ha interessato sia gli aspetti tecnologici (tipo di combustibile, sistema di raffreddamento – ad acqua o a gas – e sistema di moderazione) che la loro sicurezza. Il termine “generazione” fa riferimento proprio a questa progressiva evoluzione.

  • Alla prima generazione di reattori appartenevano i primi impianti a bassa potenza (decine o centinaia di MW), costruiti a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.
  • La seconda generazione (costruita tra la metà degli anni ‘60 e la metà degli anni ‘90) è caratterizzata da impianti di potenza elevata (nell’ordine dei 1000 MW). Sono per lo più reattori di tipo LWR (Light Water Reactor, cioè raffreddamento ad acqua) realizzati nelle due filiere BWR (Boiling Water Reactor, ovvero acqua bollente) e PWR (Pressurized Water Reactor, cioè acqua in pressione). La quasi totalità degli impianti nucleari in funzione nel mondo appartiene a questa generazione.
  • Gli impianti di terza generazione sono stati progettati e costruiti a partire dalla metà degli anni ’90. Dal punto di vista del funzionamento (combustibile, raffreddamento) erano piuttosto simili ai reattori della generazione precedente. Li differenziava una maggiore attenzione ai potenziali rischi, che ha portato all’adozione di standard di sicurezza più elevati e di norme più severe per la tenuta e l’affidabilità degli impianti.
  • I reattori nucleari di quarta generazione sono allo studio da decenni ma non ancora concretizzati in impianti utilizzabili. La ricerca su questa nuova famiglia di reattori è stata promossa dal Forum Internazionale GIF (Generation IV International Forum), fondato nel 2001 dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America (DOE). Si tratta di reattori caratterizzati da tecnologie molto evolute, diverse da quelle dei reattori già in funzione o già progettati, che si propongono essenzialmente di migliorare gli standard di sicurezza e la sostenibilità del ciclo (riduzione della produzione di scorie a lunga vita).

I reattori nucleari a fusione: il progetto sperimentale ITER

Il progetto sperimentale più importante attualmente in corso per realizzare la fusione nucleare è ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor). ITER è un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale in fase di costruzione a Cadarache, nel Sud della Francia.

Un progetto che vede coinvolto un consorzio internazionale composto da Unione Europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India, Corea del Sud.

Nel reattore ITER, il confinamento del plasma – una delle maggiori difficoltà da superare per realizzare la fusione nucleare – si ottiene mediante una macchina a forma di ciambella denominata Tokamak. Il plasma è racchiuso in una camera a vuoto e un’opportuna configurazione di campi magnetici “costringe” le particelle a seguire traiettorie a spirale senza mai entrare in contatto con le pareti.

L’Italia, che nel progetto è primo partner europeo, gioca un ruolo centrale, sia dal punto di vista della ricerca e dello sviluppo tecnico scientifico, sia sul fronte del tessuto industriale impegnato in questa sperimentazione.

Il Consorzio RFX di Padova sta lavorando al sistema di riscaldamento tramite iniettore di neutri per fusione, ovvero all’insieme di dispositivi che permettono di scaldare il plasma per innescare la reazione di fusione. In pratica, “l’accendino” del reattore.

Nei laboratori di Frascati dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) sono in corso di sviluppo diverse componenti di ITER, ma soprattutto, nel 2026, è in programma la realizzazione del DTT (Divertor Tokamak Test). Si tratta di un nuovo Tokamak tutto italiano finalizzato a sperimentare varie configurazioni di divertore, il sistema di scarico dell’energia in eccesso, per risolvere il problema dei carichi termici che questo sistema dovrà sopportare. In sostanza, potremmo definirlo una “marmitta” che dovrà smaltire il calore proveniente dalla reazione di fusione.
Il DTT rappresenta l’anello di congiunzione tra ITER, il prototipo di reattore in costruzione in Francia, e DEMO, il futuro reattore che dimostrerà in concreto la fattibilità della reazione di fusione.

Un progetto che, secondo le previsioni, entro il 2050 porterà alla realizzazione di un reattore a fusione pienamente efficiente, cioè in grado di immettere energia elettrica nella rete, e conveniente anche in termini economici.

Il nucleare nel mondo

Attualmente, nel mondo ci sono 452 reattori nucleari in funzione. L’energia nucleare rappresenta la seconda fonte di elettricità a basse emissioni di carbonio e fornisce 2700 TWh di elettricità, ovvero il 10% della fornitura globale (fonte: IEA – International Energy Agency, report “Nuclear Power in a Clean Energy System”, 2019).
Lo stato dell’arte e legislativo in materia di nucleare varia, tuttavia, da stato a stato e, dagli anni ’50 ad oggi, ogni paese ha imboccato strade diverse in materia di produzione di energia da fonti nucleari.

In Europa, dal 1958 è in vigore il trattato Euratom, che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) e fissa un quadro normativo comune a tutti i paesi UE in materia di standard di sicurezza delle centrali nucleari, di smaltimento delle scorie e di sviluppo della ricerca e delle conoscenze sul nucleare. Spetta poi a ogni stato membro scegliere se e come includere l’energia nucleare nel suo mix energetico.

L’Italia e il referendum che fermò il nucleare

Tra i paesi europei che hanno deciso di abbandonare l’avventura nucleare, almeno sul fronte della produzione di energia, c’è l’Italia. Negli anni Sessanta era il terzo produttore al mondo di energia elettronucleare ma, con il referendum popolare del 1987, complice la grossa eco avuta dal disastro di Chernobyl, ha scelto di fermare la produzione di energia da fonte nucleare ed è stata, così, uno dei primi paesi al mondo ad avviare il decommissioning, ovvero lo smantellamento delle centrali nucleari in funzione sul territorio.

Dopo il referendum sono state fermate le centrali di Latina, Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza), mentre la centrale di Garigliano (Caserta) era stata già disattivata nel 1982 dopo un lungo stop per manutenzione. Smantellati anche gli impianti del ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) e l’impianto di fabbricazione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (Alessandria). Sono stati, inoltre, interrotti i lavori di costruzione delle centrali di Montalto di Castro e di Trino 2, mai entrate in funzione.

Resta invece da concludere il processo di smaltimento delle scorie radioattive. A gennaio 2021 la Sogin, società pubblica completamente controllata dal Ministero dell’Economia e Finanze, responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, ha pubblicato la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), cioè una lista dei siti in cui potrebbero essere definitivamente stoccati i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività per realizzare un Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. L’elenco comprende 67 località distribuite tra Lazio, Toscana, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Basilicata e Puglia. Nei prossimi mesi, questi siti dovranno essere ulteriormente studiati e analizzati, anche alla luce delle osservazioni presentate a Sogin dalle Regioni interessate, comprensibilmente poco propense ad accogliere i rifiuti nucleari sul proprio territorio.

In attesa di chiudere definitivamente la stagione del nucleare, l’Italia resta tuttavia uno dei protagonisti più all’avanguardia in questo campo, soprattutto in materia di ricerca ingegneristica e tecnologica, come dimostra il suo ruolo primario nei progetti sperimentali internazionali finalizzati alla realizzazione di impianti a fusione nucleare.

Il nucleare in Europa

In Europa, alcuni paesi stanno andando nella stessa direzione dell’Italia. La Germania, per esempio, ha annunciato l’abbandono completo del nucleare e lo stop di tutti gli impianti entro il 2022.

La Francia, invece, ha prolungato di 10 anni la vita di 32 reattori nucleari entrati in funzione fra il 1978 ed il 1987, che hanno superato o sono prossimi a superare i quaranta anni di vita. Una decisione che ha sollevato polemiche tra i paesi confinanti, come l’Italia, che teme per la sicurezza di questi reattori così datati.

Una dinamica analoga sta interessando il Belgio, che ha esteso di 10 anni l’attività di due centrali vecchie e già chiuse in passato per questioni di sicurezza, scatenando preoccupazione nella confinante Germania.

In realtà, in Europa molte nazioni stanno procedendo a prolungare la vita dei reattori, per esempio la Svizzera, dove si trovano i due reattori più vecchi d’Europa. L’acquisizione di nuove conoscenze sui processi di invecchiamento dei reattori e il miglioramento delle tecniche di diagnostica e di riparazione stanno infatti portando gli Stati a mantenere gli impianti in attività più a lungo di quanto fosse ritenuto sicuro in passato (in media 40 anni).

Le grandi potenze che continuano a investire nel nucleare

Una tendenza, quella a continuare a investire nel nucleare, comune anche a molti paesi nel mondo, dalle grandi potenze come Cina e Russia che stanno potenziando le loro centrali ad altre nazioni che si stanno dotando di questa tecnologia, come Turchia, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Bielorussia.

Anche gli Stati Uniti si stanno muovendo verso una sempre più lunga e capillare estensione della vita dei loro impianti: oltre ad una prima estensione a 60 anni, che quasi tutti i reattori hanno già ottenuto (saranno quindi attivi fino al 2030), è al vaglio un’ulteriore estensione di 20 anni che prolungherà la vita dei reattori USA fino al 2050.

Energia nucleare e riscaldamento globale

Il nucleare è una fonte energetica che appare difficile da abbandonare anche alla luce dei dati  sul contributo che sembra offrire alla lotta contro i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale.
Negli ultimi 50 anni, l’uso dell’energia nucleare ha ridotto le emissioni di CO2 di oltre 60 gigatonnellate, il che equivale a quasi due anni di emissioni globali legate all’energia (fonte: IEA – International Energy Agency, report “Nuclear Power in a Clean Energy System”, 2019).

Secondo Fatih Birol, Direttore Esecutivo IEA,

“accanto alle energie rinnovabili, all’efficienza energetica e ad altre tecnologie innovative, il nucleare può dare un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi energetici sostenibili e al rafforzamento della sicurezza energetica”.

Una posizione condivisa dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), secondo il quale l’energia nucleare rappresenta uno strumento importante per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e per ridurre le emissioni di CO2.

In sintesi, il nucleare sembra una fonte energetica su cui continuare a puntare, per contrastare il riscaldamento globale, per risolvere il problema della scarsità dei combustibili fossili e per compensare una diffusione ancora insufficiente delle energie rinnovabili (che soddisfano circa ¼ del fabbisogno energetico mondiale).

Ma, perché il nucleare possa essere parte del futuro energetico mondiale, servirà continuare a investire in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica per arrivare ad un’energia nucleare che sia davvero pulita, sicura e per tutti.

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