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Il fracking per estrarre gas in Italia è già realtà

Il fracking si prepara a sbarcare in Italia. Nel 1994 Agip lo consigliava nel pozzo Nervesa a Treviso. A dicembre Sound Oil riaprirà quel pozzo.

Il fracking per estrarre gas in Italia è già realtà

Sound Oil, società a cui fa capo anche la nota Apennine Energy, ha annunciato che dal primo dicembre di quest’anno e fino al primo febbraio 2013 trivellerà un pozzo nel permesso di ricerca “Carità”, nei pressi di Treviso. Per farlo ha stipulato un contratto di affitto di una trivella TB2100 S con LP Drilling e un accordo di divisione delle spese e dei ricavi con l’italiana CSTI Srl.

L’azienda spera di trovare circa 59 milioni di metri cubi di gas nel giacimento, con un ricavo netto di 62 milioni di dollari in sette anni. Il primo pozzo, quello che Sound Oil inizierà a trivellare a dicembre, è solo un pozzo esplorativo e se verrà trovato gas verrà chiesta la via per il pozzo di produzione vero e proprio.

Il permesso Carità

E di gas, sotto Carità, ce n’è di sicuro ma per estrarlo bisogna fare un po’ di fracking. Non si tratta del solito allarmismo dei giornali online o dei blog, ma di una chiara e netta indicazione di Agip. Era l’ex controllata Eni, infatti, a detenere fino agli anni novanta il permesso Carità e di gas da quei pozzi ne ha già estratto.

In un documento ufficiale Agip del 1994, depositato all’Ufficio Nazionale Miniere Idrocarburi e Geotermia subito dopo aver chiuso il pozzo “Nervesa”, si leggono infatti molte cose interessanti. Innanzitutto che i pozzi “Nervesa”, all’interno del permesso “Carità”, sono due: il “Nervesa 1” e il “Nervesa 1 Dir A”, entrambi scavati dall’ex monopolista italiano del petrolio negli anni ottanta.

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Il secondo non è altro che una derivazione dal primo, visto che con il buco iniziale non è uscito abbastanza gas: la trivella è stata deviata di una ventina di gradi e ha percorso 305 metri di distanza prima di tornare a scendere nel sottosuolo.

Il pozzo Nervesa 1 “dir A”

Nel pozzo “dir A” Agip, ormai quasi trent’anni fa, ha trovato tracce di gas in cinque strati geologici su 12, dai 1829 ai 1964 metri di profondità (strati da 5 a 9b). Nella relazione finale di Agip sul giacimento Nervesa si legge che:

Lo sviluppo della struttura NERVESA è ipotizzabile in seguito alle verifiche raccomandate qui di seguito:

  1. Il pozzo Nervesa dir “A” è completato e attualmente chiuso per acqua sul livello 9a (spari 1822-1827 m/RT) senza possibilità di recupero della produzione;
  2. Si propone di scompletare il pozzo e di eseguire una campagna di prove di produzione con completamento provvisorio. Le prove consigliate sono 5 e interessano tutte le zone indiziate da log;
  3. Nell’ipotesi favorevole di successo si propone il completamento definitivo con doppia string e 3 selettivi;
  4. Sono da prevedere stimolazioni in profondità con fluidi opportunamente scelti e non si escludono acidificazioni con fratturazione idraulica

Non è un’invenzione: ecco l’estratto di quel documento Agip ufficiale del 1994, in cui l’azienda “non esclude” l’uso della tecnica del fracking nata negli Stati Uniti negli anni quaranta ma restata sconosciuta ai più fino al boom americano dello shale gas del 2011.

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Cioè non si esclude il fracking delle rocce, che anzi è tra le raccomandazioni che nel 1994 Agip faceva a chi volesse proseguire lo sviluppo del giacimento. Perché non lo ha fatto direttamente l’azienda italiana, allora? Perché nel 94 il petrolio era a 15 dollari al barile e il fracking costava ancor di più di quanto costa oggi, non rendendolo conveniente.

I progetti di Sound Oil

Ma adesso il barile viaggia costantemente tra i 90 e i 100 dollari, e pompare acido nel pozzo Nervesa 1 “Dir A” diventa conveniente. Ma siamo proprio sicuri che Sound Oil voglia seguire i consigli di Agip? Sì, assolutamente, lo dice la stessa azienda in un report del 2011 curato da Fugro Robertson International Oil and Gas Consultants:

Nel caso base, il campo ha un potenziale in cinque ulteriori sviluppi dei rimanenti 12 intervalli sabbiosi tra i 1829 metri e i 1964 metri di profondità. La strategia di sviluppo consiste nel produrre dal pozzo esistente e da altri due nuovi pozzi con una dual completion e in produzione selettiva, per evitare alti intervalli di saturazione dell’acqua.

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Con “dual completion” si intende un singolo buco con dentro l’attrezzatura necessaria per estrarre petrolio o gas da due zone separate. Sound Oil, quindi, farà due nuovi pozzi ma allo stesso tempo continuerà a scavare in quello già esistente. Che per produrre necessita dell’acidificazione con fratturazione idraulica.

Cinquemila litri di acido cloridrico

E, a proposito di acidificazione, il pozzo Nervesa di acido ne ha già visto parecchio. Negli strati 2, 3 e 5 sono stati iniettati complessivamente 18,3 metri cubi di miscela contenente il 28% di HCL, cioè acido cloridrico. E 18,3 metri cubi vogliono dire 18.300 litri. E il 28% di tutto questo fango, pari a 5.124 litri, era costituito da acido cloridrico. Nel pozzo deviato, invece, sono stati iniettati altri 6,4 metri cubi di miscela acida:

pozzo petrolifero nervesa treviso acido cloridrico

Il fracking è già una realtà in Italia

Era la fine dei mitici anni ottanta, quando l’Italia era molto diversa da quella attuale. C’è da sperare che le attuali tecniche di perforazione non prevedano l’iniezione di cinquemila litri di acido per ogni pozzo. Come è probabile anche che non si avessero all’epoca molte informazioni sui danni causati dal fracking alle falde acquifere e all’equilibrio geologico delle zone fratturate.

Di sicuro, però, Agip il fracking lo conosceva bene visto che nel 1986 ha portato avanti un esperimento sulla “Ricerca Per La Stimolazione Di Pozzi Geotermici Nei Campi Flegrei Mediante Fratturazione Idraulica Oppure acid-frac“. Esperimento che si aggiunge a quello, ben più noto e ben più recente, condotto da Indipendent Resources a Ribolla.

Il fracking in Italia, quindi, è una realtà da quasi trent’anni e non è affatto escluso che, spulciando le carte, se ne trovino altre tracce disperse nelle profondità dei pozzi Agip-Eni o di altri operatori. La fratturazione idraulica si fa, la si fa da tempo e probabilmente è pure una prassi abituale dell’industria petrolifera ma nessuno offre informazioni dettagliate in merito.

A questo punto è necessario un pronunciamento dei Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, che dovrebbero dire chiaramente quale sia il reale utilizzo di questa tecnica nel nostro paese e se siano stati già avviati programmi di monitoraggio dei suoi effetti sull’ambiente e sul sottosuolo.

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