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Decreto Sviluppo: un emendamento per salvare il termoelettrico

Alla Camera spunta l'emendamento salva-termoelettrico di Stefano Saglia. Votano a favore anche PD, FLI e Lega Nord: pagheremo anche l'energia non prodotta.

Decreto Sviluppo: un emendamento per salvare il termoelettrico

L’estate politica italiana offre sempre sorprese interessanti: non c’è periodo migliore per inserire un cavillo in una legge per favorire qualcuno, a danno di qualcun altro. In questo caso è stato inserito un emendamento, a firma dell’ex sottosegretario all’Energia Stefano Saglia, al Decreto Sviluppo. Tale emendamento prevede l’anticipazione di cinque anni di un sistema di retribuzione dell’energia termoelettrica non prodotta a causa della concorrenza delle energie rinnovabili.

L’emendamento in questione, votato favorevolmente anche da PD, FLI, Lega Nord Padania e di conseguenza già approvato in Commissione Finanze e in Commissione Attività produttive della Camera, recita:

Dopo il comma 7, aggiungere il seguente:
  7-bis. Al fine di garantire una maggiore efficienza delle infrastrutture energetiche nazionali e contenere gli oneri indiretti dovuti alla crescita delle fonti rinnovabili non programmabili, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, definisce le modalità per la selezione e remunerazione dei servizi di flessibilità assicurati dagli impianti di produzione abilitati.

34. 26. (Nuova formulazione) Saglia.

Con questo emendamento, in pratica, l’Autorità per l’Energia elettrica e il Gas (AEEG) deve introdurre entro tre mesi (la stesa Authority prevedeva di farlo nel 2017) un meccanismo di “capacity payment” per il termoelettrico. Oltre alla effettiva quantità di energia elettrica prodotta e venduta dalle centrali termoelettriche, quindi, in bolletta pagheremo anche la quantità di energia che ogni centrale potrebbe erogare in caso di necessità.

Energia virtuale a tutti gli effetti, ma remunerata con euro reali dai consumatori italiani. Tutto questo serve, almeno in parte, a ripagare i big della vecchia energia dalle pesanti perdite registrate negli ultimi mesi a causa dello sviluppo del fotovoltaico.

Il meccanismo è complesso, ma si lascia spiegare in maniera abbastanza semplice. Le centrali termoelettriche a gas naturale sono costruite con un business plan che prevede un funzionamento minimo di 4-5000 ore l’anno. Durante queste ore di funzionamento le centrali producono e vendono energia elettrica e, di conseguenza, guadagnano e “si ripagano”.

Il fotovoltaico, invece, produce solo quando c’è il sole: in Sicilia e al sud Italia un impianto funziona anche per 1500 ore l’anno, se non di più. Tutta l’energia che produce il fotovoltaico non la produce il termoelettrico che, così, scende a meno di 3000 ore di funzionamento annue. E perde un sacco di soldi.

Ma se, per motivi di meteo o per problemi tecnici, le rinnovabili si devono fermare o rallentano, le termoelettriche tornano in gioco sopperendo alle mancanze. Senza accumuli, quindi, non se ne può ancora fare a meno e per questo non possono chiudere. Almeno non tutte, visto che al posto di far pagare agli italiani anche l’energia che non viene prodotta si potrebbe procedere alla chiusura di qualche vecchio e inquinante impianto termoelettrico per ridurre l’eccesso di capacità produttiva.

, Camera dei deputati

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