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Biologico in Italia: intervista ad Arturo Santini, presidente di Alce Nero

Arturo Santini è diventato presidente di Alce Nero nel maggio 2018. Dopo anni da vicepresidente della storica azienda che è stata precorritrice del biologico in Italia e che oggi ne è sinonimo, Santini ha accettato la carica che è stata per quasi diciotto anni appannaggio di Lucio Cavazzoni, con l’intento di continuare a crescere in […]

Biologico in Italia: intervista ad Arturo Santini, presidente di Alce Nero

Arturo Santini è diventato presidente di Alce Nero nel maggio 2018. Dopo anni da vicepresidente della storica azienda che è stata precorritrice del biologico in Italia e che oggi ne è sinonimo, Santini ha accettato la carica che è stata per quasi diciotto anni appannaggio di Lucio Cavazzoni, con l’intento di continuare a crescere in continuità con i valori che da sempre hanno contraddistinto Alce Nero. Lo siamo andati a intervistare a Cesena, presso la sede de La Cesenate, azienda agricola e di trasformazione agroindustriale di proprietà della famiglia Santini che vanta 200 anni di attività nel settore agricolo ed è una delle socie storiche di Alce Nero.

A Santini abbiamo rivolto alcune domande sullo stato del biologico in Italia, sulle prospettive di mercato, sui dati di Alce Nero e le novità in programma oltreché sulle strategie per far crescere l’agricoltura biologica nel nostro Paese.

 

Anche se lei è entrato in carica da pochi mesi, quali sono le direttrici su cui Alce Nero si sta muovendo sotto la sua guida?

La linea rimane quella tracciata precedentemente, che poi è quella insita nei nostri cromosomi. Siamo un biologico tipicamente italiano, con un legame molto forte con gli agricoltori. Tutto questo deriva anche dalla Cesenate, che è l’azionista di maggioranza relativa. Si tratta di un’azienda che è entrata nel biologico alla fine degli anni 80, quando ancora non c’era una legge sul bio. La nostra è una famiglia di agricoltori e questo legame con l’agricoltura dunque è qualcosa di connaturato ad Alce Nero da sempre. Sotto la mia presidenza, dunque, non ci sono e non avverranno cambiamenti di strategia rispetto a quanto fatto da Lucio Cavazzoni.

I numeri del biologico stanno crescendo, lo testimoniano anche i dati raccolti da Nomisma per l’Osservatorio SANA 2018. Dal vostro punto di vista potete confermare questa crescita?

Il mercato ha registrato una notevole crescita negli ultimi anni, fino a tutto il 2017. Le cose però sono cambiate nel 2018, la crescita c’è ancora ma non in doppia cifra come accaduto lo scorso anno. Inoltre va evidenziato un problema di fondo: nel mercato del biologico, in quanto appetibile commercialmente, si sono affacciati molti marchi, anche tra quelli convenzionali. Per noi la situazione odierna è diversa rispetto a tre o quattro anni fa, in cui avevamo molta più libertà di operare in questo mercato. 

Un dato singolare che è stato registrato sempre dall’osservatorio SANA 2018 è la crescita delle vendite di prodotti biologici nella GDO e un calo nei negozi specializzati. Perché secondo lei?

Nel momento in cui la grande distribuzione riesce a garantire un’offerta in termini di profondità e di prodotti molto più ampia rispetto al passato è chiaro che i consumatori hanno meno interesse ad andare in un punto vendita specializzato. In passato era più complicato reperire tutti i prodotti nella grande distribuzione.

 

Secondo lei i prezzi più bassi proposti dalla GDO rispetto ai negozi specializzati possono aver giocato un ruolo nell’incremento di vendite?

Nel nostro caso specifico penso che il prezzo non influisca in alcun modo. Alce Nero è presente sia nella grande distribuzione sia nei punti vendita specializzati e i nostri prezzi non differiscono, sono allineati. La nostra presenza nella grande distribuzione è cresciuta considerevolmente di anno in anno, accompagnando la maggior attenzione che hanno i consumatori verso i prodotti biologici.

 

Parliamo di mercato italiano ed estero, quali sono i dati di fatturato di Alce Nero?

In Italia noi facciamo l’80% del fatturato e il 20% all’estero, in larga parte estremo oriente. Primo tra tutti i paesi esteri è il Giappone dove il nostro marchio è molto importante e questo si spiega, a mio avviso, con un approccio molto simile alle materie prime che si ha nel Paese del Sol Levante e che lo accomuna all’Italia. Come da noi in Italia la cucina è molto semplice in Giappone, vengono utilizzati pochi ingredienti e per questo c’è un’attenzione molto elevata alla qualità degli stessi.

Quest’anno faremo 80 milioni di fatturato e proprio in questi giorni stiamo mettendo a punto il nuovo piano industriale e l’obiettivo sarà sempre quello di crescere.

 

Avete mai pensato di allargare il vostro target oltre all’agroalimentare?

Noi vogliamo rimanere un’azienda legata al food. In passato abbiamo valutato un’espansione anche in altri settori ma riteniamo che sia strategico rimanere focalizzati sul food dove vogliamo continuare ad essere la marca  di riferimento del biologico italiano.

 

Proprio per affermare il vostro brand in modo ancora più incisivo avete mai ragionato sull’apertura di boutique Alce Nero?

È uno di quei passaggi che per affermare il brand sono fondamentali. Nel settore del lusso la creazione di negozi monomarca costituisce un rafforzamento importante per il marchio e abbiamo valutato (e stiamo valutando tuttora) la possibilità di aprire dei negozi Alce Nero, tuttavia al momento rimane solo un’idea.

 

Quali sono i prodotti Alce Nero che, ad oggi, riscuotono più successo e quali novità ci saranno nel 2019?

I tre prodotti tipici della dieta mediterranea sono quelli più venduti in Italia e molto apprezzati all’estero: pomodoro, olio e pasta. In Italia poi abbiamo registrato vendite importanti di un quarto prodotto, i biscotti. Noi siamo stati precursori, circa 10 anni fa, dell’eliminazione degli oli di cocco e di palma sostituendoli con l’olio extravergine d’oliva. Per noi i frollini sono molto importanti, anche oggi in cui tante marche hanno sostituito l’olio di palma.

Nel 2019 lanceremo Alce Nero freddo, una linea di prodotti surgelati. Incominceremo con le pizze e proseguiremo poi con una serie di prodotti vegetali. Inoltre svilupperemo ulteriormente Alce Nero fresco, che abbiamo inaugurato con una serie di yogurt prodotti con latte fieno – cioè derivante da vacche allevate in Alto Adige e nutrite per l’80% del loro fabbisogno alimentare con fieno ,- e che da poco meno di un anno ci vede presenti nei banchi frigo di alcune catene di supermercati con una linea di zuppe fresche e di insalate – semplici e arricchite – pronte all’uso.  All’interno della linea fresco introdurremo anche delle pizze da conservare tra 0 e 4 gradi. Tutto questo in ottica di rafforzamento del brand e di offerta quanto più completa al cliente.

 

In tanti anni di attività avete capito con precisione qual è il vostro pubblico di riferimento?

Il nostro pubblico  per lo più ha un’età compresa tra i 35 e i 60 anni, un livello medio/alto di reddito e di istruzione; spesso ci preferiscono famiglie con figli o di single; generalmente chi decide di comperare Alce Nero è Donna. Da questo punto di vista lanciare Alce Nero Baby food ha elevato la percezione della nostra marca agli occhi del fruitori ed è stato anche un grande successo in termini di vendite, a conferma della grande credibilità di cui Alce Nero beneficia. Il baby food copre oggi circa il 10% delle nostre vendite.

 

Veniamo infine a un tema strettamente connesso alla vostra attività: l’agricoltura biologica in Italia. Quali potrebbero essere, a suo avviso, i passaggi fondamentali che andrebbero compiuti dal Governo italiano per incentivare la crescita del biologico nel nostro paese?

 

C’è evidentemente un problema che riguarda l’incentivazione dell’agricoltura biologica in Italia. Certamente essa rappresenta una nicchia, pertanto buona parte dei fondi sono stati destinati all’agricoltura convenzionale. L’agricoltura italiana si presterebbe come dimensioni e caratteristiche all’agricoltura biologica, tuttavia va fatta una precisazione importante: non tutte le coltivazioni possono essere realizzate con agricoltura biologica. Non tutti i terreni sono uguali, alcuni si prestano meglio a coltivazioni biologiche, altri necessitano di coltivazioni tradizionali.

Quello dei fondi economici insufficienti comunque non è l’unico problema legato al decollo dell’agricoltura biologica che soffre moltissimo anche per la mancanza di figure tecniche da avere in campagna. Se l’Italia deve fare agricoltura di nicchia, e certamente quella biologica è tale, uno degli impedimenti più grandi è proprio la mancanza di figure adeguate, che abbiano una formazione adeguata. La formazione dei tecnici biologici è rimasta troppo in secondo piano per accompagnare le tendenze di mercato.

Secondo lei sarebbe fattibile una conversione totale al biologico?

Innanzitutto bisogna fare chiarezza: produrre con il metodo biologico costa di più, non tanto guardando ad un anno. Se i raccolti sono importanti allora non si percepisce davvero il maggior costo del biologico. Il problema sono gli anni critici, in cui c’è scarsità di produzione. Negli anni critici il biologico esaspera ancor di più la criticità. Il passo fondamentale per una conversione integrale dell’agricoltura biologica è capire con precisione quali sono le esigenze italiane ed europee in termini di cibo. Se noi trasformassimo tutta l’agricoltura convenzionale in biologica non produrremmo più 100 di quel raccolto ma probabilmente 70. La prima cosa dunque è capire esattamente le esigenze alimentari a livello “macro”.

La seconda cosa da capire è se il mercato, quindi anche a livello sociologico, è pronto ad accettare un overprice di un certo tipo. Anche se bisognerebbe prima capire con precisione quali sono i reali costi dell’uso di pesticidi. Certamente queste sostanze comportano problemi sanitari, esistono dunque dei costi sociali che andrebbero considerati. Sarebbe importante capire il reale costo che l’uso di pesticidi comporta prima di paragonare un chilo di pesche biologiche a un chilo di pesche coltivate con pesticidi.

Sicuramente sarebbero auspicabili delle politiche di incentivazione del territorio per dare una spinta significativa al biologico in Italia e mi sembra che la legge sui Distretti vada in qualche modo in questa direzione.

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